Milazzismo e Pentaleghismo: considerazioni e analogie di due esperimenti controversi

A distanza di 61 anni dal primo governo di Silvio Milazzo (nella foto accanto) della Regione Siciliana, che vide assieme esponenti della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale Italiano e del Partito Comunista Italiano che inaugurò la stagione nell’isola dell’amministrazione della destra e della sinistra insieme, cogliamo significative analogie su quanto è avvenuto il 1º giugno 2018 con la nascita del Governo Conte pentaleghista, in cui due forze opposte, Movimento 5 stelle e Lega, si sono consociate nel formare una maggioranza numerica in nome del “cambiamento” e “dell’andare oltre” formula peraltro inventata da Pino Rauti.
Questa esperienza politica, seppur ha messo in atto alcune simboliche realizzazioni di cui però temo rimarrà poco, negli ultimi tempi sta dimostrando tutte le discrasie culturali tra linee politiche opposte, che difficilmente potranno conciliarsi.
La formula “né destra né sinistra” non convince e non resisterà ai marosi della politica, perché l’impostazione ideale tra le due visioni è molto diversa, così come gli orizzonti a cui guardano sono totalmente opposti. Basta esaminare il voto per l’elezione di Ursula Von der Leyen come presidente della Commissione europea, la Lega di Salvini coerentemente con quanto affermato in campagna elettorale ha votato contro, il Movimento 5 Stelle a favore, permettendo alla candidata della Germania e della Francia per sole 9 preferenze di passare alla prova dell’Aula.
Il Movimento 5 stelle è già saltato sul carro del centrosinistra europeo a guida franco-tedesca nonostante gli incontri con movimenti contestatari come quello dei “Gilet gialli” d’oltralpe. E’ bastato poco a convincerli, solo qualche accenno nel discorso della neo Presidente ai temi tipici dei pentastellati quali per esempio: un ambientalismo immaginario poco concreto e un utopistico salario minimo, senza però accennare a come realizzarlo sia ad Atene che a Berlino, viste le macro differenze delle due economie.
Questo testimonia quale sia l’atteggiamento culturale di un movimento nato nella contestazione e finito nell’approvazione dei passati e presenti assetti di potere europei, che vanno dal Partito Popolare Europeo, in cui militano Berlusconi e Orban, al Partito Socialdemocratico in cui sono parte attiva gli esponenti del Partito Democratico tanto osteggiati da Grillo e dai suoi accoliti.
Saltano agli occhi per questo le analogie storiche con esperimenti simili come il “Milazzismo” siciliano, che l’unico risultato concreto che ci ha lasciato, oltre ad alcune simboliche realizzazioni di cui pochi hanno memoria, è stato lo spostamento a sinistra prima dei governi siciliani, poi di quelli nazionali ed infine della società in generale.
Era il 30 ottobre 1958 quando Silvio Milazzo, deputato regionale della Democrazia Cristiana viene eletto presidente della Regione siciliana con i voti, all’Assemblea regionale siciliana, di comunisti, socialisti, monarchici e missini, contro il candidato ufficiale del suo partito, indicato dai vertici nazionali della DC, allora guidata da Amintore Fanfani ideatore del centrosinistra. Il 31 ottobre Milazzo costituì una giunta formata dalle forze politiche che lo avevano eletto, compresi PCI e MSI. Vice presidente fu Paolo D’Antoni, deputato del gruppo PCI, e assessori missini furono Dino Grammatico alla strategica Agricoltura ed Ettore Mangano all’Industria e commercio. A sostenere l’accordo l’allora segretario regionale comunista Emanuele Macaluso e il capogruppo del MSI Nino Buttafuoco.
Milazzo, esponente dell’autonomismo più esteso, era in contrasto con l’indirizzo fortemente accentratore impresso all’organizzazione della DC da Fanfani, allora anche presidente del Consiglio, mentre la posizione del presidente della Repubblica Gronchi sembrava di maggiore sostegno all’esperimento autonomista.
Silvio Milazzo era nato a Caltagirone, la città di Don Luigi Sturzo, il 4 settembre 1903. Imprenditore agricolo, era figlio di Mario Milazzo sindaco di Caltagirone e della duchessina Brigida Crescimanno d’Albafiorita appartenente a una delle famiglie più antiche dell’aristocrazia isolana. Fu direttore della Cassa San Giacomo di Caltagirone, commissario del consorzio agrario catanese e segretario provinciale della DC di Catania. Eletto all’Assemblea Regionale Siciliana nella I (1947-1951), II (1951-1955) e III (1955-1959) legislatura con la Democrazia Cristiana.
Il suo primo governo nacque “in nome dei superiori interessi dei siciliani”, dissero il segretario regionale del PCI Emanuele Macaluso (che aveva avuto il via libera da Palmiro Togliatti) e il capogruppo all’ARS del MSI Dino Grammatico, con il consenso di Giorgio Almirante (insieme nella foto).
Silvio Milazzo fu subito espulso dalla DC, dando poi vita con un gruppo di deputati regionali ad un nuovo partito politico, l’Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS), che ottenne 10 deputati all’ARS nelle elezioni regionali del giugno 1959. Successivamente Grammatico nelle sue memorie definì quella prima fase del Milazzismo come una “Rivolta siciliana”, che non avrebbe più avuto nella seconda fase del Milazzismo nessun seguito.
In quel periodo l’Italia era governata dalla Democrazia Cristiana, al cui interno coesistevano diverse anime culturali: dalla conservatrice che preferiva l’accordo con i liberali, i monarchi e i missini; alla progressista che prediligeva un accordo di centrosinistra con socialisti e socialdemocratici.
Il 20 maggio 1957 era nato il governo monocolore DC guidato da Adone Zoli, con l’appoggio esterno del: Movimento Sociale Italiano, Partito Socialdemocratico Italiano, Partito Liberale Italiano, Partito Nazionale Monarchico, Partito Monarchico Popolare, Partito Repubblicano Italiano e Südtiroler Volkspartei, certamente di orientamento conservatore, che però durò 408 giorni, ovvero 1 anno, 1 mese e 12 giorni, terminando la sua esperienza il 2 luglio 1958, venendo sostituito da un nuovo governo, formato da DC e PSDI guidato da Amintore Fanfani, ideatore dello spostamento a sinistra dell’Italia. Fanfani era stato fascista, come tanti italiani, docente alla Scuola di mistica fascista, autore di articoli per la sua rivista Dottrina fascista, e pubblicando inoltre articoli sulla rivista La Difesa della Razza di Telesio Interlandi, ma in tempi di Repubblica diventò l’artefice e il teorizzatore del centrosinistra e fortemente ostile al Governo Milazzo.
Tant’è che l’ostilità all’operazione Milazzo di Fanfani si risolse con l’espulsione del Presidente della Regione dalla Democrazia Cristiana insieme agli altri deputati dissidenti. Amintore Fanfani comunque dovette affrontare pochi giorni dopo le opposizioni di Giuseppe Pella sulla linea economica, di Guido Gonella sulla gestione della crisi siciliana, di Mario Scelba contrario all’apertura a sinistra e di Giulio Andreotti a favore di governi monocolore.
Il suo governo durò ancora meno del precedente appena 229 giorni, ovvero 7 mesi e 14 giorni, finendo il 16 febbraio 1959, ma bastevoli a vedere rovesciare le sorti del primo Governo Milazzo che si concluse il 12 agosto 1959 con la nascita della seconda giunta a seguito delle elezioni regionali che vide estromettere gli esponenti del Movimento Sociale Italiano dalla guida della Regione Siciliana. Questo secondo governo ebbe allora il sostegno delle sinistre, dei monarchici, e dei vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera, che già aveva rotto con Confindustria. Gli ideologi in quella fase furono Ludovico Corrao ed il deputato nazionale Francesco Pignatone.
Si chiuse così l’esperienza del MSI al governo con il PC sotto la guida di un DC e si aprì definitivamente la strade del centrosinistra in Sicilia con i Governi di Salvatore Corallo e dopo di Giuseppe D’Angelo che portarono alla ridefinizione del quadro politico nazionale, nonostante i tentativi dei Governi di Antonio Segni e di Fernando Tambroni nel 1960 appoggiati da missini e monarchici.
Bisognerà attendere il 1994 e 34 anni di centrosinistra, più o meno organico, per rivedere in Italia un governo di centrodestra, almeno nel nome, quello di Silvio Berlusconi, sostenuto dagli eredi del Movimento Sociale Italiano poi Alleanza Nazionale, da quelli del Partito Liberale, da ex socialisti, da ex democristiani, alcuni confluiti in Forza Italia il partito fondato dal presidente Consiglio, in alleanza tattica al Nord con la Lega di Umberto Bossi.
Questo ragionamento per evidenziare come esperimenti impossibili, di fusione a freddo di diversissime e spesso contrapposte visioni culturali, anche se in apparenza sembrano portare buoni frutti, con l’esplodere delle contraddizioni interne, poi di fatto rischiano di portare, come in passato, l’Italia tra le fauci di una più attrezzata sinistra, che piaccia o meno, ha radici profonde, e per questo non bisogna sottovalutarle o ignorarle.
Difficile risulta conciliare statalismo e libera impresa, centralismo e regionalismo, diritto alla proprietà ed espropri proletari, lavoro e assistenzialismo parassitario, sicurezza e buonismo.
Se andiamo poi alle realizzazioni del II e III governo Milazzo troviamo, seguendo la linea indicata dall’onorevole missino Dino Grammatico protagonista del suo primo governo che asserì esistette una cesura forte tra la prima esperienza e le successive, solo manovre ad essere gentili di carattere stataliste ed assistenzialiste, in quanto grazie alla nuova impostazione si aprirono la porta agli interventi in economia della Regione Siciliana, che costituì tutta una serie di aziende a partecipazione pubblica che gestirono fondi enormi con poche effettive iniziative vantaggiose per la Sicilia. Pensiamo alla SOFIS (Società per il finanziamento dello sviluppo in Sicilia), dietro cui c’erano i nomi di alcuni personaggi come l’avvocato Vito Guarrasi, il futuro senatore DC Graziano Verzotto, l’ingegner Domenico La Cavera, in quegli anni presidente degli industriali siciliani, il professor Francesco Pignatone teorico del Milazzismo, l’avvocato Francesco Morgante (socio di minoranza della società Italkali, l’azienda partecipata ancora oggi dalla Regione, che gestisce l’estrazione e la commercializzazione dei sali minerali della Sicilia).
La Sofis, attraverso i cosiddetti crediti partecipati, acquisiva quote ed azioni di società nate già fuori da logiche di mercato. Si trattava, in particolare, di aziende in difficoltà economiche, le quali venivano finanziate dalla stessa Sofis, che poi, invece di chiedere la restituzione delle somme prestate, acquisiva quote delle suddette società.
Nel 1967 la Sofis fu posta in liquidazione e le sue funzioni passarono all’Ente siciliano per la promozione industriale (ESPI), che intorno alla metà degli anni ’60, e quindi nell’epoca del centrosinistra controllava 24 società collegate o controllate, e fu uno dei quattro enti economici regionali istituiti insieme a: l’Ente minerario siciliano (EMS), Ente siciliano per la promozione industriale (ESPI appunto), l’Azasi e l’Ente di Sviluppo Agricolo (ESA). Quest’ultimo subentrò all’Eras, l’Ente per la riforma agraria siciliana, che già nel 1955 aveva 1192 addetti.
Nel 1996, dopo che negli anni i governi regionali di centrosinistra erano intervenuti per ripianare diverse volte le sofferenze, con denaro pubblico, il primo governo di centrodestra, guidato da Giuseppe Provenzano, approvò la legge per la liquidazione degli enti regionali. Nel 1999 fu nominato un commissario liquidatore, che a oggi sembra non avere ancora completato le dismissioni.
Su queste vicende è istruttivo e chiarificante leggere la relazione di minoranza alla Commissione Parlamentare antimafia dell’onorevole Beppe Niccolai, che Leonardo Sciascia definì in un intervista al Corriere della Sera “una cosa seria”, sia sulla questione Sofis, sia su personaggi come l’avvocato Vito Guarrasi, l’ingegnere Domenico La Cavera e il futuro senatore “fanfaniano” Graziano Verzotto. Scrive Niccolai: “La Sofis. Da chi è ideata? A che cosa serve? Chi è che viene nominato dal Presidente Milazzo, Segretario generale del piano quinquennale per la ricostruzione della Sicilia?
Vito Guarrasi: decreto 28 novembre 1958.
E che significa quella nomina se non la delega a trattare tutti gli affari economici e finanziari riguardanti la Sicilia?
Chi, se non Guarrasi, chiama Graziano Verzotto all’EMS?
Chi istituisce, se non Vito Guarrasi, la carica di direttore generale della So.Fi.S.?
E chi indica, come direttore generale della So.Fi.S., Vito Guarrasi? L’ingegner Domenico La Cavera.” Continua la relazione “Ma il «gioiello» del Guarrasi resta la legge 13 marzo 1959, n. 4, che istituisce il fondo di rotazione per le industrie minerarie presso il Banco di Sicilia, con una dotazione iniziale di 12 miliardi; fondo che prende in carico (articolo 5) tutti i debiti residui dei mutui già concessi dalla sezione di credito del Banco di Sicilia a norma di alcune leggi precedenti. Cioè si trasferiscono dal Banco di Sicilia alla Regione parecchi miliardi di crediti inesigibili”.
Da questa relazione emergono una serie di intrecci pericolosi tra poteri, ma si capisce che lo spostamento dell’asse politico e culturale del Governo Milazzo con la fuoriuscita del MSI comportò l’inizio della creazione di una serie di società pubbliche per l’intervento dello Stato Regione nell’economia generale di chiara ispirazione socialisteggiante, “fanfaniana” ed assistenziale, che si perpetuò fino ai giorni nostri.
Con la stessa logica “autonomista” periodicamente in Sicilia nascono formazioni e governi che si appoggiamo a maggioranze variabili, come quella del Governo di Raffaele Lombardo, votato dal popolo di centrodestra e finito con il sostegno d’aula del centrosinistra, che caso strano nomina l’ingegnere Domenico La Cavera suo consulente all’industria alla veneranda età di 94 anni, e che poi passa la presidenza ad un esponente del Partito Democratico, Rosario Crocetta. In Sicilia tutto torna e molti riemergono.
Oggi sono in atto gli stessi processi, un Governo “pentaleghista” nato sotto gli auspici del cambiamento, corre il rischio di tramutarsi, con la fuoriuscita, forzata o volontaria, della Lega di Matteo Salvini e con il soccorso di esponenti del progressismo parlamentare dal PD ad Articolo 1, in un governo pentastellato di estrema sinistra, ostile alla libera impresa, aperto a nuove statalizzazioni (il caso Alitalia è emblematico), incline ad un assistenzialismo a pioggia che addormenti le coscienze e non incentivi l’iniziativa privata, disponibile a sacrificare i ceti medi e produttivi sull’altare dell’egualitarismo senza equità. Tanto che il Pentaleghismo, come il Milazzismo, può diventare il grimaldello della sinistra, sconfitta nelle urne ma vincitrice nelle aule, come a Bruxelles in cui nonostante i numeri in calo il PD conquista la presidenza del Parlamento Europeo.
Ecco perché Salvini presto sarà costretto a decidere, pena la sua disfatta finale, se continuare la rischiosa convivenza con i 5 Stelle, sapendo di dover arretrare ogni giorno di più su questioni vitali per l’Italia per esempio come le grandi opere, o determinarsi a chiedere nuove elezioni al Capo dello Stato, ricomponendo però prima una coalizione più organica, capace di raccogliere l’ampio consenso che esiste tra la maggioranza silenziosa di centrodestra, spesso astenutasi ma che esiste e vuole essere ben rappresentata senza le ambiguità del passato remoto e prossimo, anche perché i nuovi “fanfaniani senza Fanfani”, gli “autonomisti senza autonomia”, “i cittadini senza città e civiltà” sono già alle porte e stanno bussando e qualcuno prima o poi aprirà.

Antonino Sala

Milazzismo e Pentaleghismo: considerazioni e analogie di due esperimenti controversiultima modifica: 2019-07-18T17:57:45+02:00da torreecorona
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