Partiti personali e Libertà individuali

In questi giorni in cui si discute sul referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020 per la conferma del taglio del numero di parlamentari, ho cercato di capire se all’interno dei partiti si fosse aperto un dibattito interno, se ci fossero assemblee degli iscritti, direzioni nazionali e territoriali, insomma se ci sia stata la possibilità di esprimere il proprio parere anche in opposizione al “leader” di turno sia a destra quanto a sinistra. A parte la riunione della direzione del PD di cui si conosceva però l’esito, negli altri nemmeno quella, casualmente per la maggior parte schierati per il SI alla faccia della tanto sbandierata democrazia. Questo fatto necessita di una riflessione su cosa siano quelli che tutti chiamano partiti, se i dirigenti lo siano veramente e se i parlamentari esercitino il loro ruolo senza vincolo di mandato come recita la Costituzione o se, come sembra, pensando più che alle prossime generazioni alle prossime rielezioni.
La riduzione del numero dei parlamentari se fosse stata inserita in un piano di riforma complessiva, che armonizzava tutta una serie di storture che con rimaneggiamenti vari della costituzione hanno portato al disequilibrio istituzionale attuale, sarebbe potuta essere anche condivisibile insieme però al presidenzialismo o al semipresidenzialismo, all’eliminazione del bicameralismo perfetto, alla reintroduzione delle provincie e all’abolizione o più morbidamente all’accorpamento delle regioni a statuto ordinario in macro aree, riducendone il numero e la spesa che da quando sono state istituite è cresciuta a dismisura come preconizzato nel 1970 dal segretario del Partito Liberale Giovanni Malagodi e da Giorgio Almirante segretario del Movimento Sociale Italiano, che insieme ai monarchici di Alfredo Covelli presenti in Parlamento fecero una dura battaglia contro la loro istituzione. Infatti avevano ragione e il risultato è sotto gli occhi di tutti, grazie ai governi del centrosinistra di allora.
Oggi in pochi hanno avuto il coraggio di schierarsi contro questa riduzione della rappresentanza popolare, a differenza dei molti che ne hanno abbracciato lo spirito o per convinzione, o per compiacere l’elettorato che spesso però è orientato dai grandi media, o ancora per piaggeria verso il proprio leader nel terrore di perdere la possibilità di essere candidato o ricandidato per l’ennesima volta.
Tutto questo perché i partiti non sono più tali, sono diventati agglomerati personali o al massimo comitati elettorali, in cui è difficile fare emergere il dissenso interno, discutere apertamente di tesi culturali, politiche ed istituzionali: sono divenuti “non luoghi della discussione” da cui sono banditi tutti coloro che non si allineano alle decisioni dei capi e dove non si riuniscono, come si faceva una volta, le direzioni o si convocano i congressi per elaborare tesi ed improntare idee. Questo deficit democratico è avvertito inconsapevolmente dai cittadini, che per tutta reazione cominciano a pensare che forse non conviene più mantenere una classe politica del genere ed è meglio mandarli a casa, innescando così una pericolosissima deriva liberticida, che potrebbe anche sfociare nell’arrivo di un uomo solo al comando, osannato e idolatrato acriticamente.
Personalmente non desidererei per l’Italia un “capo” solitario che disegna in solitudine i destini della nazione anche se fosse Caio Giulio Cesare o Napoleone Bonaparte redivivo, perché chiunque esso sia sarebbe comunque un essere con tante debolezze e troppe ambizioni per decidere della vita e della morte di 60 milioni di persone. Preferisco la collegialità, la pluralità e non disdegno nemmeno la pletoricità, perché sono convinto che avere a disposizione più informazioni, pareri e contributi di cui si possa fare sintesi sia la migliore via per la vita di uno Stato civile e libero.
Nell’antica Roma il Senato decideva sulle questioni rilevanti liberamente dopo lunghi ed estenuanti dibattiti ed il numero dei suoi componenti crebbe dai 100 Patres di Romolo, ai 300 in epoca repubblicana fino a 600 durante l’Impero e non fu mai abolito.
Poi noi siciliani abbiamo già provato cosa significa la riduzione dei parlamentari che all’ARS sono passati da 90 a 70 e non mi pare che la situazione sia migliorata, nonostante gli sforzi del presidente della regione Nello Musumeci e di pochi altri volenterosi, anzi è peggiorata perché si sono acuiti i contrasti di potere perché più concentrati e si sono tacitate le possibili voci di dissenso interne ai vari partiti, ed infine sono scomparse le rappresentanze delle piccole formazioni politiche che era un segno di pluralismo, lasciando però inalterati i privilegi.
Oggi a parte qualche singolo coraggioso esponente sia di centro destra, come Silvio Berlusconi anche se camaleonticamente, Giancarlo Giorgetti della Lega palesemente ed in maniera più sfumata Guido Crosetto di Fratelli d’Italia, che di centro sinistra come Walter Veltroni e Carlo Calenda, quasi tutti gli altri esponenti dei partiti più grandi sono apertamente favorevoli alla riforma.
Le decisioni ultime sono state prese dai leader, anche contro la logica, vedi la posizione di Fratelli d’Italia per il Si incomprensibile anche dal punto di vista strategico non solo da quello politico perché, dopo aver chiesto da anni le elezioni anticipate adesso sostiene il SI che se vincerà farà arrivare la legislatura e quindi il governo fino alla fine del mandato, in quanto bisognerà riscrivere la legge elettorale nonché i collegi e nel contempo scatterà il semestre bianco per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che inevitabilmente sarà scelto dall’attuale maggioranza escludendo proprio loro da questo come da altri processi decisionali importanti.
Tutto questo avviene perché si è fatto passare il messaggio che è inutile il dibattimento e il ragionamento per decidere, basta la fedeltà al leader di turno che conosce tutto e statuisce per tutti, poi il resto sono solo slogan in tv e battute sui social network, senza proposte, idee e valori ormai retaggio di un’epoca passata. Bastano i “garanti”, qualcuno autodefinitosi tale in maniera palese secondo il quale “le dittature paradossalmente funzionerebbero meglio delle democrazie” e altri manifestatesi tali, anche se in maniera surrettizia avendo inserito il proprio nome nel simbolo elettorale così da far intendere chi comanda veramente. Tutti pensando però che non ci sia la necessità di alcun confronto argomentativo, per loro giova solo la devozione acritica al capo nella speranza di guadagnarsi la sua riconoscenza, su questo illuminante Giulio Cesare che sosteneva “generalmente, gli uomini prestano fede volentieri a ciò che desiderano”, come un posto in Parlamento. D’altronde per molti di costoro il modello di stato ideale è quello della Repubblica Popolare Cinese in cui le libertà personali come le intendiamo noi occidentali sono relativamente importanti a differenza di quanto si crede in gran parte d’Europa, in Israele e negli Stati Uniti d’America dove invece per certi versi sono il fondamento dello stato stesso.
Personalmente credo che in politica non debbano esserci “garanti”, ma ogni parlamentare dovrebbe avere come tale il proprio sovrano interiore o meglio, per coloro che si dicono cristiani, la propria libera coscienza, anche se comprendo che in questi tempi così sovvertiti e pieni di ansie in tanti preferiscono il rifugio deresponsabilizzante e rassicurante di una gendarmeria piuttosto che quello aperto, antidogmatico, in parte convulso ed entusiasmante al tempo stesso, ed a lungo termine più fruttuoso di una agorà ateniese o preferibilmente di un Senato Romano in cui ogni persona può alzarsi in piedi per esporre le proprie ragioni, nel rispetto delle altrui convinzioni, senza la paura di essere espulso per lesa maestà e dove quelli che ascoltano corrono il rischio pure di imparare qualcosa.
Adesso è il momento per dirla ancora con Giulio Cesare di non “aver paura che della paura” e forse con l’aiuto del buon Dio qualche speranza di rinascita per l’Italia ancora permane, se avremo, in pochi o in molti non importa perché la chiamata è personale, il coraggio di levarci contro la tirannide del pensiero unico omologante, in favore di un pensiero critico e libero, contro l’idea deresponsabilizzante “dei pochi eletti al potere” investiti del compito di gestire la nostra vita, a cui però la massa infuriata in cerca di colpevoli sarebbe pronta, come durante la rivoluzione francese del 1789, a tagliare la testa pur di assolvere se stessa, a sua volta istigata da altri demagoghi pronti a prendere il posto dei precedenti.
Per questo credo nella democrazia rappresentativa e nel Parlamento, come luogo dove essa prende forma e si esplica, come nella migliore tradizione romana e siciliana visto che nel luglio 1140 re Ruggero II di Sicilia convocò in Ariano l’assemblea generale dei suoi feudatari (curia procerum) allo scopo di emanare i regi statuti, le “constitutiones”, fondamento di un regno che durò 700 anni.

Antonino Sala

Partiti personali e Libertà individualiultima modifica: 2020-09-18T20:30:17+02:00da torreecorona
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