Ripensare Fini

Ho letto con attenzione gli articoli recenti di Mario Landolfi su Il Foglio e Gianfranco Rotondi su https://www.huffingtonpost.it/ su Gianfranco Fini e la sua svolta, che credo, testimonino come ancora la cosiddetta destra italiana debba fare un lungo percorso prima di potersi presentare epurata da tutte quelle incrostazioni vetero estremiste che l’hanno sempre contraddistinta a causa della sua atavica  caccia al traditore di turno, un retaggio culturale che viene da lontano, da quando si urlava nelle piazze alla vittoria “mutilata” nel 1918; al complotto “giudaico demo pluto massonico”; alle accuse alla monarchia e agli ambienti “reazionari” che sarebbero stati responsabili, a loro modo di vedere, della sconfitta in una tragica e rovinosa II guerra mondiale in cui proprio estremisti, affaristi, irrealisti, utopisti e militaristi avevano trascinato l’Italia;  agli strali indirizzati verso sia il governo Badoglio, il Re Vittorio Emanuele III e suo figlio Umberto II che tentarono di evitare ulteriori lutti alla patria che verso la resistenza antitedesca che era in larga parte fatta da anticomunisti, monarchici, liberali e popolari che lottavano per la libertà dai nazisti; per poi con lo stesso atteggiamento trasmigrare in tempi di repubblica, ricominciando a mettere all’indice i soliti “Giuda”, questa volta gli artefici della ricostruzione post bellica su cui comunque non do in questo testo nessun giudizio di merito o di valore (solo per esempio uno di questi era ed è nell’immaginario destrorso Amintore Fanfani che era stato fascista, ed aveva formulato il primo articolo della costituzione repubblicana ed aveva dato vita al centrosinistra con i “cugini” socialisti, dando impulso alla politica assistenziale e statalista del periodo); contro i “venduti” di Democrazia Nazionale che però avevano anticipato i tempi di Fiuggi anche con molta generosità ed ingenuità; ed infine verso Gianfranco Fini e la sua politica aperturista. 

Per inciso ancora oggi continua la ricerca del nemico interno da parte di chi di quel mondo si dice erede o prosecutore, principalmente perchè è più facile dare colpe a qualcuno  piuttosto che mettersi difronte allo specchio della propria coscienza e cercare soluzioni credibili, coraggiose e praticabili, a questo si unisce un endemico carattere “perfettista” dell’ambiente, pronto a dare “patenti morali” a chiunque esca dalla “comarca” nella convinzione di essere diversi o peggio superiori eticamente.

Incontrai il presidente Gianfranco Fini a Roma nel 2015 quando ormai era fuori dall’agone politico e sulla via del tramonto e debbo dire che trovai un uomo ancora brillante, certamente riflessivo su i suoi errori, ma una persona che era stata coraggiosa, forse anche troppo, che, come un giorno molti anni prima quando era in auge ebbe a dirmi, aveva “cercato di svuotare il mare con un cucchiaino”, e ovviamente non solo non ci era riuscito ma ne era rimasto travolto. Ancora oggi lo ringrazio della sua affabilità e di quell’incontro a cui ne seguirono altri.

Ma da cosa voleva svuotare il mare Fini? Bene credo che dopo tanti anni si possa fare un’analisi più attenta e profonda e soprattutto senza acrimonia, su quale era stata la svolta giusta di Fiuggi, pensata da Domenico Fisichella, voluta da Pinuccio Tatarella ed interpretata da Gianfranco Fini. Ci si voleva liberare dalla zavorra neofascista, che aveva messo nell’angolo la destra italiana nella prima epoca della repubblica, emarginata dagli altri partiti che non esitavano a disdegnare ogni aiuto parlamentare proveniente dal MSI, e senza una vera possibilità di incidere sulla vita politica italiana. 

Quella coraggiosa posizione che vide Gianfranco Fini protagonista della stagione della destra di governo, che ad oggi non si è più ripetuta, fece sì che in tanti ex missini divennero ministri, sottosegretari, presidenti di commissioni parlamentari e in molti casi manager e consiglieri di amministrazioni dei grandi gruppi statali: oggi quasi tutti muti sul loro ex capo nel migliore dei casi o irriconoscenti nella peggiore. Fini mi consegnò una massima di Seneca che spesso mi sovviene in mente, nell’occasione del nostro incontro “la riconoscenza è il sentimento della vigilia”, verissimo.

Inoltre lo storico viaggio di Gianfranco Fini ad Israele la ritengo una delle azioni più importanti con la quale ruppe definitivamente con uno strisciante antisemitismo che aveva caratterizzato certi ambienti, in parte gli stessi che avevano demonizzato l’avventura di Democrazia Nazionale e che per una presunta idea di purezza ritenevano di non doversi mai misurare con la sfida del governo in coalizione con altre forze politiche anticomuniste, liberali e popolari, che erano da sempre presenti nel Parlamento italiano, anche del Regno, perché espressione di una sensibilità diffusa all’interno del popolo italiano.

Certamente a Fini si possono imputare tanti errori, a cominciare dalla scelta di alcuni suoi devoti accoliti o presunti tali, dall’essersi fidato di colonnelli che aspiravano, forse, a diventare in fretta generali sotto un’altro capo, di essersi imbarcato nel PdL con Berlusconi e poi di essersene andato prematuramente, di essersi lasciato abbagliare da ipotetiche quanto improbabili avventure di governo alternative al centrodestra e di avere poi dato troppo spazio ad alcuni avventati e rissosi avventurieri, sempre pronti a creare confusione nel campo avversario quanto nel proprio, che lo hanno trascinato fuori dal seminato. 

Solo per chiarezza: la storia della casa di Montecarlo, che era e rimane comunque una questione legata al patrimonio privato della Fondazione Alleanza Nazionale, ed ancora all’esame della magistratura, non modifica di nulla il giudizio storico sulla persona, e ai tanti che allora guardavano alla vicenda, ancora tutta da chiarire, con occhio “attento” ed arcigno mi piacerebbe chiedere come mai in altre occasioni hanno fatto finta di essere non miopi ma ciechi fin dalla nascita.

Ma quanti di noi non commettono quotidianamente errori? d’altronde come scrive Friedrich von Hayek l’umanità procede per tentativi ed errori nel processo di avanzamento culturale, politico, sociale, economico ed umano. 

Tutta la storia dell’umano consorzio è costellato di avventurose imprese anche naufragate, che comunque indicavano una strada che per tappe poi altri avrebbero intrapreso favorevolmente. Nessun uomo, seppur dotato di grande intelligenza e conoscenza, può prevedere il futuro e gli sviluppi di un’azione libera, anche se fosse in possesso di portentose tecnologie appoggiate su innumerevoli dati, e se così fosse basterebbe allora costruire un cervello elettronico con un microprocessore molto veloce implementato da un efficiente algoritmo. E’ evidente che questa prospettiva, oltre che impossibile e anche disumana, sono troppe infatti le variabili in gioco per riuscire in un’impresa simile. 

Quindi preso atto della fallibilità e della finitezza umana la valutazione sull’opera di Fini va fatta sul deposito che oggi ci ha lasciato e sulla prospettiva che ha indicato: quella di un cammino, che libero dagli schemi incapacitanti e vincolanti del passato, anche se risultano comodi per nascondere la ritrosia, l’indolenza e fors’anche l’incapacità di molte “belle anime” a ragionare sul presente e sul futuro, verso un progetto di rinnovamento di un’area, che avrebbe dovuto avere ben chiara quale fosse la sua identità e la sua naturale collocazione, alternativa alla sinistra, anti dirigista e liberale come nella migliore tradizione della destra risorgimentale. 

Purtroppo i nipotini di Hegel sono sempre pronti a dare di matto appena si mette in discussione il dogma dello “spirito assoluto incarnato”, loro autentica esigenza ontologica tanto per citare Gabriel Marcel, ieri in Napoleone a cavallo a Jena, al tempo di Fini in Berlusconi sul predellino della sua auto a piazza San Babila, ed agirono perché si incerenisse, non solo il gentleman in grisaglia insieme a un’intera classe dirigente (che in parte preferì la diaspora necessaria per dirla con Tommaso Romano), ma anche il progetto veramente aperto come Fisichella e Tatarella avevano pensato Alleanza Nazionale, dove un partigiano anticomunista e monarchico come Edgardo Sogno, poteva trovare libera cittadinanza.

Ecco quella strada tracciata dovrebbe essere ripresa, con tutte le correzioni del caso, sapendo che gli intoppi e gli errori sono dietro l’angolo assieme ai tentativi di successo che pur non mancano. 

Sarebbe utile oltreché entusiasmante puntare a rifare un autentico partito tradizional/conservatore ed anche liberal/popolare, attualizzando ciò che è vivo del pensiero politico di Alessandro Manzoni, Marco Minghetti, Camillo Benso di Cavour, Luigi Tapparelli D’Azeglio, Gioacchino Ventura, Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti, Santi Romano, Quintino Sella, Luigi Sturzo, Benedetto Croce, Luigi Einaudi solo per citarne alcuni, senza pregiudiziali e con animo aperto anche all’incertezza del futuro. 

Ma principalmente, riappropriandosi, in tutti i sensi, di Gianfranco Fini e della sua controversa opera rinnovatrice, che il suo posto nella storia della destra e dell’Italia se lo è già conquistato, al quale si deve, come ho scritto prima, il primo vero tentativo, in parte riuscito, di fare uscire dal ghetto gli eredi degli sconfitti del XX secolo portandoli nelle stanze delle cancellerie continentali a decidere delle sorti dell’Europa.

Antonino Sala

 

Ripensare Finiultima modifica: 2021-03-21T18:44:17+01:00da torreecorona
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