PERCHE SONO UN NONVIOLENTO DIALOGANTE. Presupposti per vivere in pace.

PERCHE SONO UN NONVIOLENTO DIALOGANTE. Presupposti per vivere in pace.

“Con la non violenza riconosciamo il diritto di tutti all’esistenza, con la non menzogna il diritto di tutti alla verità.” Aldo Capitini

In tempi di guerra credo necessario che ognuno di noi personalmente faccia dentro di sé chiarezza sulla questione, perchè credo ci aspettino tempi durissimi, mi auguro solo economici e non militari. E per questo mi sono posto il tema “sono disponibile a pensare al conflitto armato come sistema per risolvere le controversie politiche?” La mia risposta è stata “NO”.
Giudico la guerra “un’inutile strage” come aveva affermato il primo agosto 1917 Papa Benedetto XV in occasione della I Guerra Mondiale ed “un’avventura senza ritorno” come sostenne Papa Giovanni Paolo II in occasione di quella combattuta in Iraq e proprio per avere fatti miei questi convincimenti allora mi sorge spontaneo un altro quesito “cosa si può fare per difendersi da un’aggressione tanto feroce?”, un atto terribile, che vede un esercito regolare e ben armato, quello russo, attaccare le libere città ucraine, certamente impossibilitate a difendersi militarmente, tant’è che il presidente Volodymyr Zelensky chiede un giorno sì e pure l’altro l’intervento della Nato per la NO Fly Zone per impedire la distruzione totale del suo popolo, ma che è impossibile, almeno in tesi, perché inevitabilmente significherebbe l’ingresso nel conflitto dell’occidente, con tutto quello che né conseguirebbe, ritengo allora che l’unica via sia quella dell’Azione Non Violenta, di cui gli stessi ucraini sono ben a conoscenza, visto che è stata utilizzata da loro per determinare un cambio di posizionamento governativo.
L’azione non violenta dialogante non è sinonimo di azione debole, al contrario è l’estrema e più radicale forma di resistenza al male, fino alla vittoria finale. Essa è un metodo di lotta politica che consiste nel rifiuto di ogni atto di violenza (in primo luogo proprio contro i rappresentanti e i sostenitori del potere cui ci si oppone), che prevede la disobbedienza per esempio a determinati ordini militari come l’obiezione di coscienza, il boicottaggio, o la non-collaborazione.
Il massimo della non violenta dialogante è rappresentato dagli insegnamenti di Gesù Cristo quando nel vangelo afferma “io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due”. Oltretutto il suo metodo è quello del dialogo continuo con tutti senza mai sottrarsi a domande, dubbi e trabocchetti retorici che spesso gli si ponevano davanti. Solo dal reciproco confronto si possono sterilizzare offese e risentimenti che possono sfociare in atti violenti.
Basterebbe questo, almeno per noi cristiani di tutte le confessioni, per evitare le guerre e gli spargimenti di sangue ma capisco che la nostra natura è purtroppo ben diversa, la favola della rana e dello scorpione meglio illustra questa mia ultima osservazione e l’immutabilità degli istinti degli individui. Uno scorpione chiede ad una rana di lasciarlo salire sulla sua schiena e di trasportarlo sull’altra sponda di un fiume. In un primo momento la rana rifiuta, temendo di essere punta durante il tragitto. L’aracnide argomenta però in modo convincente sull’infondatezza di tale timore: se la pungesse, infatti, anche lui cadrebbe nel fiume e, non sapendo nuotare, morirebbe insieme a lei. La rana, allora, accetta e permette allo scorpione di salirle sulla schiena, ma, a metà strada, lui la punge condannando entrambi alla morte. Quando la rana chiede allo scorpione il perché del suo gesto folle, questi risponde: “È la mia natura!”.
Anche Sigmund Freud, oltre al già citato Fedro, ci viene in aiuto per capire quanta è la propensione al bene dell’essere umano e quanto invece sia orientato al male, egli infatti rispondendo nel 1932 ad Albert Einstein che gli chiedeva di individuare una maniera di “rendere impossibili tutti i conflitti armati” rispose “i conflitti d’interesse tra gli uomini sono dunque in linea di principio decisi mediante l’uso della violenza. Ciò avviene in tutto il regno animale, di cui l’uomo fa inequivocabilmente parte; per gli uomini si aggiungono, a dire il vero, anche i conflitti di opinione, che arrivano fino alle più alte cime dell’astrazione e sembrano esigere, per essere decisi, un’altra tecnica. Ma questa è una complicazione che interviene più tardi. Inizialmente, in una piccola orda umana, la maggiore forza muscolare decise a chi dovesse appartenere qualcosa o la volontà di chi dovesse essere portata ad attuazione. Presto la forza muscolare viene accresciuta o sostituita mediante l’uso di strumenti; vince chi ha le armi migliori o le adopera più abilmente. Con l’introduzione delle armi la superiorità intellettuale comincia già a prendere il posto della forza muscolare bruta, benché lo scopo finale della lotta rimanga il medesimo: una delle due parti, a cagione del danno che subisce e dell’infiacchimento delle sue forze, deve essere costretta a desistere dalle proprie rivendicazioni od opposizioni. Ciò è ottenuto nel modo più radicale quando la violenza toglie di mezzo l’avversario definitivamente, vale a dire lo uccide. Il sistema ha due vantaggi, che l’avversario non può riprendere le ostilità in altra occasione e che il suo destino distoglie gli altri dal seguire il suo esempio. Inoltre l’uccisione del nemico soddisfa un’inclinazione pulsionale di cui parlerò più avanti. All’intenzione di uccidere subentra talora la riflessione che il nemico può essere impiegato in mansioni servili utili se lo s’intimidisce e lo si lascia in vita. Allora la violenza si accontenta di soggiogarlo, invece che ucciderlo. Si comincia così a risparmiare il nemico, ma il vincitore da ora in poi ha da fare i conti con la smania di vendetta del vinto, sempre in agguato, e rinuncia in parte alla propria sicurezza.
Questo è dunque lo stato originario, il predominio del più forte, della violenza bruta o sostenuta dall’intelligenza…….Quando gli uomini vengono incitati alla guerra, è possibile che si destino in loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari, quelli di cui si parla apertamente e altri che vengono taciuti. Non è il caso di enumerarli tutti. Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte; innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro esistenza e la loro forza. Il fatto che questi impulsi distruttivi siano mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro soddisfacimento. Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali siano serviti da paravento alle brame di distruzione; altre volte, trattandosi per esempio crudeltà della Santa Inquisizione, che i motivi ideali fossero preminenti nella coscienza, mentre i motivi distruttivi recassero loro un rafforzamento inconscio…non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza. presso cui la coercizione e l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di più su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri della comunità. Io la ritengo un’illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Lei stesso osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra.”
Nonostante questa pessimistica visione conclude la sua lettera con una nota di speranza “quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra.”
Detto questo un’altra strada al conflitto armato rimane comunque in campo che è quella dell’azione non violenta, che certamente non elimina la “volontà di potenza” tra le parti ma la traspone su un piano non omicidiario, e che può ottenere gli stessi risultati sul piano concreto.
Colui il quale, per esempio, che né ha fatto il mezzo per il raggiungimento dell’indipendenza della propria patria fu Mahatma Gandhi, il Bapu (il padre) dell’India moderna che da colonia dell’impero di sua maestà britannica, divenne uno stato indipendente. Gandhi si ispirò come lui stesso afferma ai principi del russo Lev Tolstoj della “non resistenza al male con il male”, basata proprio sul Discorso della Montagna di Gesù.
Afferma Gandhi “quarant’anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è dentro di noi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell’ahimsā (la non violenza). Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità. Fu l’uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l’aveva trovata. […] Fu il più grande apostolo della non-violenza che l’epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. […] La vera ahimsa dovrebbe significare libertà assoluta dalla cattiva volontà, dall’ira, dall’odio, e un sovrabbondante amore per tutto. La vita di Tolstoj, con il suo amore grande come l’oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di ahimsa.”
Altra e forse più controversa opera filosofica e pratica della non violenza è quella di Gene Sharp con i suoi testi “Politica dell’Azione Nonviolenta”, “Verso un’Europa inconquistabile” (nel quale sosteneva la possibilità di una resistenza popolare basata su gruppi di azione nonviolenta e di disobbedienza civile) e “La via della non-violenza”.
I suoi insegnamenti sono stati adottati con successo da vari gruppi rivoluzionari in diverse parti del mondo, anche in Ucraina e nelle Rivoluzioni colorate.
Sharp sosteneva “l’azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa è stata usata per obiettivi vari, sia “buoni” che “cattivi”; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo” ed ancora “la lotta non violenta non significa assenza di pericolo. Significa ridurre il numero di vittime potenziali rispetto a quelle che morirebbero se ci si ribellasse con l’uso della forza. Cercare di raggiungere l’indipendenza con violenza quando il tuo avversario è così forte non ha senso. Se si usano soltanto metodi non violenti, il potere non saprà come comportarsi”.
Quindi venendo all’odierna questione sul che fare, ritengo che l’unica vera arma che può salvare le vite degli ucraini ed anche dei russi, siano essi militari o civili, sia quella della non violenza, ma per arrivare a questa prima c’è la necessità di fermare lo sterminio, di far cessare le armi con la diplomazia e non è certamente quella di fornire armamenti letali ad una delle parti, alla quale peraltro la Nato ha detto di non voler intervenire direttamente.
“Primum vivere deinde philosophari”. Difronte ad una potenza distruttrice come quella della Russia, c’è la necessità di sedersi al tavolo delle trattative sapendo di stare discutendo non con uno stato sovrano e basta, ma con un impero multiculturale, multiraziale, globale di pari potenza agli altri due, gli USA e la Repubblica Popolare Cinese: sono loro i veri interlocutori di Putin.
Del resto la sproporzione delle forze è talmente tanta che il risultato rischia di essere l’annientamento fisico del martoriato popolo ucraino, al quale esprimo la mia solidarietà e vicinanza, e proprio per questo perso all’azione nonviolenta.
Ci sono poi diversi esponenti negli Stati Uniti, che pensano che si debba avviare un diverso percorso in questi casi, non armato, come gli studiosi del Cato Institute Robert A. Levy e Peter Goettler che scrivono “sostenere la moderazione militare, ovviamente, non indebolisce il nostro sostegno alla libertà né la nostra opposizione alla tirannia ovunque” e Doug Bandow dello stesso think tank “gli Stati Uniti e gli alleati dovrebbero riflettere attentamente prima di sottoscrivere una guerra irregolare in Ucraina contro la Russia. Gli ucraini hanno il diritto assoluto di resistere e il sostegno esterno sarebbe giustificato. Tuttavia, la sottoscrizione di una guerra contro Mosca potrebbe comportare costi elevati….Fornire attivamente armi e addestramento che provocano la morte di soldati russi potrebbe portare a scontri violenti tra le forze russe e NATO, con la costante minaccia di un’escalation.”
Io pertanto sostengo la necessità di una azione non violenta e dialogante perché sono cristiano per fede e l’insegnamento di Gesù Cristo è in questa direzione, perché sono romano per cultura nel senso del diritto come tradizione che diventa nel tempo anche legislazione e perché italiano per appartenenza e storia.
Cosa sarebbe infatti successo a Milano e ai suoi cittadini, compreso Alessandro Manzoni se al termine delle cinque giornate e dell’insurrezione indipendentista il Re di Sardegna Carlo Alberto non avesse firmato la capitolazione?
Cosa sarebbe stato di Napoli e di Gaeta se il Re delle Due Sicilie Francesco II di Borbone non si fosse arreso difronte all’impossibilità di difendere il suolo patrio?
Cosa sarebbe rimasto in piedi di Roma se Re Vittorio Emanuele III non avesse dato il suo consenso all’armistizio con le forze alleate fermando così il bombardamento a tappeto già predisposto?
Cosa sarebbe rimasto dell’Italia già martoriata se Re Umberto II non avesse accettato l’esilio all’indomani del referendum del giugno 1946 ed avesse invece ascoltato quei generali che gli promettevano una facile soluzione armata?
Oggi questi luoghi sarebbero stati come Kiev, forse anche peggio, con immense atrocità che nessuno avrebbe mai più dimenticato.
Il rischio che corre Kiev è quello di essere una novella Masada, i cui abitanti si diedero reciprocamente la morte per non consegnarsi all’esercito romano, eroica resistenza e romantica fine. A qualcuno potrebbe piacere pure, ma non a me. Si ricordi il presidente ucraino che Mosca si autodefiniva ai tempi degli zar la terza Roma, alludendo a quella degli Imperatori e se Putin viene chiamato nello stesso modo un motivo ci sarà.
L’unica scelta possibile, per evitare ulteriori lutti è quella dell’azione nonviolenta dialogante così come sosteneva il filosofo Aldo Capitini in Religione aperta “la nonviolenza non è cosa negativa, come parrebbe dal nome, ma è attenzione e affetto per ogni singolo essere proprio nel suo esser lui e non un altro, per la sua esistenza, libertà, sviluppo. La nonviolenza non può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la trasformazione; ed è attivissima, interviene in mille modi, facendo come le bestie piccole che si moltiplicano in tanti e tanti figli. Nella società la nonviolenza suscita solidarietà viva e dal basso. Anche verso gli esseri non umani la nonviolenza ha un grande valore, appunto come ampliamento di amore e di collaborazione.“ Ed ancora in Il problema religioso “il nonviolento che si fa cortigiano è disgustoso: migliore è allora il tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesù Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli offesi. La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata.“
Io sono non violento dialogante infine: perché credo nelle libertà individuali; perché non desidero sopraffare nessuno; perché non voglio appropriarmi illegittimamente della proprietà degli altri; perché so che il conflitto non si può eliminare ma solo direzionare in una relazione non cruenta anche se dura; perché credo nell’utilità per tutti del libero scambio sia esso culturale che economico e su questo vorrei aggiungere “quanto l’umanità perderà in termini di avanzamento dalla chiusura dei rapporti organici tra oriente ed occidente?; perché vorrei che le mie idee avessero cittadinanza per la loro intrinseca forza razionale piuttosto che per altro; e perché fondamentalmente l’unico su cui vorrei avere sempre il dominio è solo me stesso…e non sempre, purtroppo, ci riesco e di questo me né rammarico.

Antonino Sala

PERCHE SONO UN NONVIOLENTO DIALOGANTE. Presupposti per vivere in pace.ultima modifica: 2022-03-11T12:50:13+01:00da torreecorona
Reposta per primo quest’articolo

I commenti sono chiusi.