La globalizzazione: un bene necessario!

Il processo di globalizzazione è stato oggetto di studi e approfondimenti ma anche di feroci contestazioni che in qualche caso sono diventate aspre e violente. Anche il sottoscritto ha messo in luce e spesso stigmatizzato le criticità che pur ci sono state e ci saranno anche in futuro come in tutte le attività umane che per loro natura sono perfettibili e precarie.

La globalizzazione è un fenomeno che viene da lontano, si sviluppa attraverso varie fasi e vede la sua consacrazione con l’intensificazione degli scambi economici, attraverso investimenti internazionali su scala mondiale, determinando l’interdipendenza delle realtà naziaolali, con la conseguenza che tutto ciò ha anche portato una reciproca contaminazione sul piano culturale, politico, industriale e tecnologico i cui effetti hanno una caratura che coinvolge l’intero pianeta o quasi.
Tutti questi fenomeni hanno da un lato agevolato lo sviluppo della conoscenza e dall’altro, forse per la scarsa preparazione o la ritrosia naturale dell’uomo a cambiamenti così repentini, determinato un atteggiamento in molti osservatori una certa diffidenza, che si è tramutata poi in alcuni casi in paranoia demolitoria nei confronti di quello che è uno straordinario processo di interazione tra le nazioni e tra gli uomini. Sono stati utilizzati fiumi di parole su tonnellate di carta per demonizzarla, senza quasi mai approfondirne la portata innovativa che essa ha comportato in termini di cultura, politica ed economia.
La domanda che mi pongo e a cui cercherò di dare una risposta coerente è “La globalizzazione è un bene necessario o un male evitabile? Prima di rispondere voglio mettere in luce quali sono stati gli aspetti più significativi del suo sviluppo che l’hanno caratterizzata.
Innanzi tutto ha determinato l’aumento della velocità delle comunicazioni e della circolazione di informazioni; l’opportunità di crescita economica per nazioni a lungo rimaste ai margini dello sviluppo economico mondiale penso ai cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che sono diventati protagonisti della scena mondiale di cui bisogna tenere conto; la restrizione della distanza spazio-temporale e a seguito di un mercato mondiale una generalizzata riduzione dei costi per l’acquisto di beni di consumo per l’utente finale grazie all’incremento della concorrenza su scala planetaria e ai diversi metodi di produzione e di retribuzione del lavoro.
Certo tutto non è stato rose e fiori, sono emersi anche gli inconvenienti di un simile processo come: lo sfruttamento del lavoro minorile ed in generale; il degrado ambientale specialemnte nei paesi a più bassa alfabetizzazione; un progressivo aumento del ruolo “politico” di multinazionali; una diminuzione dell’autonomia delle economie locali, ed altre sicuramente criticità che ognuno di noi ha avuto modo di analizzare in questi anni.
Se dovessi trovare il punto di inizio della globalizzazione allora, da europeo penserei alle colonie minoiche e micenee in Sicilia, di cui sono un’evidenza archeologica gli ipogei sparsi un po’ dovunque in tutti i paesi rivieraschi del mediterraneo, e i traffici che in esso interessarono le città della Grecia antica, prima fra tutte Atene. Questi intensi rapporti culturali e commerciali resero ricche le polis sia dal punto di vista economico che culturale. E qui con lo scambio volontario si diede una risposta alla scarsità di risorse che l’uomo vive come condizione naturale, alla quale si rispose con il commercio di beni. Altrettanto comune era il metodo basato invece sulla guerra di conquista e sulla pirateria, che ancora oggi alcune nazioni praticano senza remore o scrupoli.
Cos’è l’Iliade, scremata del mito sublime che la arricchisce, se non il racconto di come ci si rapportava tra potenze, allora regionali, per il predominio sui traffici tra oriente ed occidente?
Il modo più comune per determinarsi a reperire risorse utili ad ampliare il proprio spazio di ricchezza e potere era la guerra. L’altra modalità era pacifico: stabilire accordi commerciali con le altre città stato in maniera da guadagnarci tutte e due ed evitare di dissanguarsi in imprese militari dalle alterne vicende e dalle incerte fortune.
E l’Odissea che cos’è se non la narrazione di come è facile smarrirsi e correre immani pericoli in terre ostili e tra nemici barbari quando non si hanno alleati leali? E nonostante in qualche caso si trovino, gli stessi non sono sufficienti a evitare disastri e/o rallentamenti.
Allora un mondo, che oggi spazialmente noi consideriamo di dimensioni ridotte, diveniva grande o piccolo a secondo delle relazioni che le popolazioni intessevano tra i lati opposti delle coste.
Vari sono gli esempi di cosa quel grande universo di pensiero ed azione riuscì a determinare nella storia dell’umanità, culminato intenzionalmente poi nella nascita dell’Impero di Alessandro Magno, che si estendeva su 20 territori dei moderni stati di oggi (Grecia, Macedonia, Kosovo, Bulgaria, Turchia, Siria, Giordania, Israele, Libano, Cipro, Egitto, Libia, Iraq, Iran, Kuwait, Afghanistan, Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan e Pakistan) e toccava alcune altre nella loro periferia (Ucraina, Romania, Albania, Armenia e India), che tra il 336 e il 323 a.C., assorbendo la porzione occidentale dell’impero achemenide di Persia, portando la propria superficie da 1,2 a 5,2 milioni di chilometri quadrati divenne per un ventennio, il più vasto stato del suo tempo, abbracciando l’oriente e l’occidente.
Assorbito per la quasi totalità da quello molto più longevo e meglio organizzato della Roma dei Cesari che nella sua massima espansione, si estendeva su tre diversi continenti: Europa, Africa e Asia attraverso gli odierni stati di: Portogallo, Spagna, Andorra, Francia, Monaco, Belgio, Paesi Bassi (regioni meridionali), Regno Unito (Inghilterra, Galles, parte della Scozia), Lussemburgo, Germania (regioni meridionali e occidentali), Svizzera, Austria, Liechtenstein, Slovacchia (piccola parte), Ungheria, Italia, Malta, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord, Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia, Ucraina (parte costiera sud-occidentale con Isola dei Serpenti e Podolia), Turchia, Russia, Cipro, Siria, Libano, Iraq, Armenia, Georgia, Iran, Azerbaigian, Israele, Giordania, Palestina, Egitto, Sudan (in piccola parte e per limitato periodo di tempo), Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Arabia Saudita (in piccola parte). A cui il senato romano estese il suo diritto e la sua lingua pur lasciando ampi spazi di autonomia.
E cosa sarebbero questi luminosi esempi se non processi di globalizzazione o se meno urticante alle orecchie di chi non vuol capire, di unificazione del mondo sotto un unico celo?
Furono così messe al servizio dell’umanità strade, ponti, sicurezza e certezza del diritto in maniera da garantire una pacifica possibilità di procurarsi di che vivere meglio.
Questi processi di universalizzazione del diritto e del sapere poi furono riproposti e consolidati dal Sacro Romano Impero Germanico che riattualizzò lo stesso identico percorso unitivo del globo in chiave cristiano barbarica. La stessa iconografia degli imperatori fa sì che venissero ritratti con il globo crucigero in mano come segno del dominio di Cristo sul mondo per tramite dello stesso sovrano.
In ogni epoca successiva ci furono gli stessi significativi tentativi e risultati. Aggiungo inoltre che mentre nascevano in Europa e nel mediterraneo queste grandi entità nelle altre parti della terra se né formavano altre ancora, come in Persia con l’impero Sasanide, in Cina con quello Mogul, in India e nei grandi spazi dell’America precolombiana: evidenze di una natura umana che comunque persegue gli stessi obiettivi con metodologie molto simili. Ed anche la Chiesa Cattolica è per la sua vocazione un ulteriore esempio di universalismo che ha unito popoli molto lontani in un unica visione del mondo.
Certo va tenuto presente che per quanto riguarda le società antiche, per la loro stessa genesi, costituivano, come scrive Herbert Spencer, una ordinamento sociale di tipo militare[1] basato sulla cooperazione obbligatoria. Vanno ricordati in ogni tempo i viaggi dei mercanti di tutto il mondo e la ricerca di nuove vie per i commerci; ricordo solo per inciso Marco Polo e proprio per le stesse ragioni la scoperta del nuovo mondo ad opera di Cristoforo Colombo, forse la più grande impresa dell’umanità che ha cambiato la storia dei popoli.
Nel XVII secolo, il commercio mondiale si sviluppò ulteriormente quando furono istituite la Compagnia britannica delle Indie orientali (fondata nel 1600) e la Compagnia olandese delle Indie orientali (fondata nel 1602, spesso descritta come la prima corporazione multinazionale per cui fossero offerte azioni)
Andando a tempi più vicini a noi la prima globalizzazione come oggi la intendiamo, si ebbe tra il 1840 e il 1914, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che resero il mondo più piccolo e a questo contribuirono le navi a vapore, le ferrovie e il telegrafo.
E poi il mondo fu reso ancora più interconnesso dal nostro Guglielmo Marconi a cui si deve lo sviluppo di un efficace sistema di telecomunicazione a distanza via onde radio, ovvero la telegrafia senza fili o radiotelegrafo, che ebbe notevole diffusione, la cui evoluzione portò allo sviluppo della radio e della televisione e in generale di tutti i moderni sistemi e metodi di radiocomunicazione che utilizzano le comunicazioni senza fili, e che gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1909 condiviso con Carl Ferdinand Braun, “in riconoscimento del suo contributo allo sviluppo della telegrafia senza fili”.
Fu l’inizio del villaggio globale di cui scrisse Marshall McLuhan, che poi grazie ad internet divenne una realtà quotidiana per tutti noi.
A causa delle due guerre mondiali e la relativa militarizzazione delle società in guerra si ebbe un rallentamento del processo di globalizzazione per gli evidenti motivi bellici, che riprese subito dopo, nonostante la separazione tra blocchi contrapposti.
Infatti il procedimento continuò sia con gli accordi di accordi di Bretton Woods (1944) influenzati dal pensiero di John Maynard Keynes, che portarono alla crescita a dismisura della spesa pubblica negli USA, che con quelli del General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio), meglio conosciuto come AGTC o GATT, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra, in Svizzera, da 23 paesi tra cui anche l’Italia, che stabilì le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. Subito dopo nacque la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) col Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 per confluire poi nella più ampia Comunità economica europea (CEE) istituita il 25 marzo 1957, contestualmente alla Comunità europea dell’energia atomica, mediante la sottoscrizione del Trattato di Roma, entrato in vigore il 1º gennaio 1958, ad essa presero parte i sei Stati (Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) già appartenenti alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Processo questo di unificazione continentale che è ancora in atto e che attualmente è sfociato nella Unione Europea, che però ha visto un momento di arresto con l’uscita dagli accordi del Regno Unito.
Subito dopo a partire dalla fine degli anni Settanta si è verificata una nuova fase di liberalizzazione del commercio mondiale, finalizzate all’abolizione progressiva delle barriere al commercio internazionale. Soprattutto furono ripensate le politiche keynesiane grazie all’opera degli economisti James M. Buchanan[2] (futuro premio Nobel) e Richard E. Wagner che misero in luce come i difetti di funzionamento dei sistemi democratici si erano notevolmente accresciuti da quando le idee di Keynes avevano legittimato l’abbandono dei sani principi tradizionali di finanza pubblica, basati sulla disciplina costituzionale e il pareggio di bilancio, provocando la stagnazione e uno sconquasso sia politico che economico.
Fortunatamente furono pronti a recepire il messaggio Ronald Reagan e Margaret Thatcher che portarono una ventata di aria fresca nella politica economica internazionale introducendo la liberalizzazione dei sistemi produttivi.
Queste politiche portarono una grande fase di espansione economica in occidente ed una contestuale caduta di produttività del blocco sovietico, che dovette dichiarare la sua stessa fine con il crollo del muro di Berlino nel 1989.
Il GATT venne superato il 1º gennaio 1995 dal WTO (World Trade Organization – Organizzazione mondiale del commercio) al quale aderirono 164 Paesi comprendendo così oltre il 97% del commercio mondiale di beni e servizi. Obiettivo generale del WTO è quello dell’abolizione o della riduzione delle barriere tariffarie al commercio internazionale ma a differenza di quanto avveniva in ambito GATT, non solo dei beni commerciali, ma anche dei servizi e delle proprietà intellettuali.
Ovviamente l’accelerazione del progresso tecnologico ha permesso di abbattere i costi dei trasporti e delle comunicazioni permettendo lauti profitti a tutti gli operatori economici e nell’ultimo periodo a quelli dell’ecommerce. Ma anche i costi dei prodotti finiti si è notevolmente abbassato, rendondoli accessibili ai consumatori di quasi tutto il mondo grazie alla delocalizzazione della produzione, cosicché è oggi possibile realizzare i vari componenti di un prodotto in località anche molto lontane tra loro, assemblarli in un’altra ancora e infine vendere l’oggetto finito in tutto il mondo.
Certamente tutto ciò è stato possibile grazie al fatto che le multinazionali hanno portato la progettazione nei paesi tecnologicamente all’avanguardia, la produzione nei paesi in via di sviluppo in cui possono pagare salari più bassi, e infine la sede legale in alcuni Stati che garantiscono una tassazione particolarmente vantaggiosa.
La difficile legiferazione in merito a queste entità sovranazionali, mettono in crisi la certezza quasi mitologica della superiorità degli stati nazionali rispetto a tutto il resto, riducendone la sovranità di fatto in tre ambiti cruciali: politica fiscale, spesa pubblica, e politica macroeconomica.
Tutto questo però ha avuto lati assolutamente positivi: un aumento delle produzioni tecnologiche; una sana competizione sul piano economico; la diffusione ancora maggiore della conoscenza in vari ambiti; e quel che conta di più un lungo periodo di pace tra i blocchi più importanti.
Proprio perché il sistema della globalizzazione ha reso più accessibile beni e conoscenza, e la possibilità di reperire risorse è stata resa, se non più facile, almeno non cruenta. Rendiamoci conto che il conflitto tra gli uomini o gli stati è inevitabile, perché la condizione dell’uomo è quella della precarietà nella scarsità, pertanto se non lo si sposta sul piano dello scambio, del commercio e della competizione tecnologica e finanziaria lo si ritroverà sui campi di battaglia.
Ecco il vero vantaggio di un sistema integrato di relazioni tra gli stati: la pace!
L’alternativa è il ritorno al conflitto armato, più o meno dichiarato, per procura o diretto: è questa la immediata conseguenza della rottura degli accordi già stipulati tra le nazioni.
Per l’ingresso nel WTO la Repubblica Popolare Cinese ha dovuto aspettare 15 anni e 5 mesi e la Federazione Russa quasi 18 anni spostando la polarità dalle armi alle merci. Paradossalmente il mondo ha successivamente visto l’ascesa proprio del gigante asiatico come potenza economica, di cui hanno beneficiato però le maggiori multinazionali occidentali, dalle automobili all’ Hi tech ed anche i consumatori.
Un mondo multipolare in cui gli Stati Uniti e l’Occidente liberaldemocratico hanno dovuto accettare a malincuore di non essere da soli a guidare il mondo nonostante abbiano vinto la guerra fredda.
Il rischio serio se dovesse rompersi il meccanismo del commercio internazionale è quello del ritorno della cortina di ferro che separava popoli fratelli ed alcuni cugini, rendondoli potenziali nemici. Inoltre la interdipendenza delle nazioni rende tutto molto complicato sul piano della fattibilità a cominciare dal problema energetico. Se ci riflettiamo sopra oggi viviamo una paradossale situazione per cui la Russia che ha invaso l’Ucraina continua ad alimentarla con il proprio gas perchè ha bisogno dei pagamenti che arrivano regolarmente per continuare a fargli la guerra; dall’altro canto l’Ucraina ha bisogno del gas russo per non rimanere a secco e per continuare a sostenere la popolazione resistente e l’esercito combattente contro l’invasore russo, a cui paga lauti compensi sapendo che quei versamenti serviranno a finanziare l’operazione militare speciale contro di lei. Sembra assurdo che vittima e carnefice siano legati in un abbraccio indissolubile.
Ora proprio per queste considerazioni la mia risposta alla domanda iniziale se “la globalizzazione è un bene necessario o un male evitabile?, è che sia un bene necessario anche se con qualche male forse evitabile!
Certamente essa è emendabile, forse il sistema del WTO dovrebbe essere oggetto di revisione e magari reso più plurale e aperto. Però ritengo il processo di universalizzazione dei rapporti politici economici fondati sul multipolarismo, in cui chi ha i mezzi ma non ha le persone e viceversa, possano convivere nel reciproco rispetto e dialogo e dove la competizione sia spostata sul piano dei fenomeni produttivi e non militari.
Abbandonare la globalizzazione significa rinunciare alla pace mondiale e al benessere economico che né deriva. A tutti quelli che sostengono che essa annienta le identità, voglio dire che il rischio potrebbe essere quello ben peggiore di distruggere l’umanità e la civiltà che con fatica e dolore abbiamo costruito in questi secoli.

Antonino Sala

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[1] Herbert Spencer, L’uomo contro lo Stato, a cura di Alberto Mingardi, Liberilibri.
[2] La democrazia in deficit. L’eredità politica di lord Keynes, James M. Buchanan e Richard E. Wagner, Armando Editore.

La globalizzazione: un bene necessario!ultima modifica: 2022-05-05T08:31:54+02:00da torreecorona
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