Salvare l’Italia e l’Europa. Attenzione al debito pubblico e pareggio di bilancio!

CpertinaIl metodo più semplice per risolvere sia un problema economico che uno politico è quello di fare debito pubblico e distribuire prebende a caso, dando così la sensazione sia al mondo produttivo che ai singoli di porre una toppa larga e a buon mercato ad un abito oramai sbrindellato, senza cambiare però nulla di ciò che ha causato i danni che sono sotto gli occhi di tutti.Questo modo di operare è figlio delle teorie economiche di lord John Maynard Keynes, padre della macroeconomia e ideologo della necessità dell’intervento statale nell’economia da attuare con misure di bilancio e di moneta, molto in voga ancora oggi a distanza di 76 dalla sua morte a sinistra, ma anche in una certa destra statalista, e contrapposte a quelle più parsimoniose e responsabili come quelle della scuola austriaca di economia, di cui erano esponenti Mises e Hayek, di quella liberista e monetarista di Milton Friedman chiamata anche di Chicago, di quella della Scelta Pubblica (Public Choice) fondata da James M. Buchanan che aveva alle spalle le analisi dei nostri compatrioti Maffeo Pantaleoni e Vilfredo Pareto e aggiungo anche di quella italiana del pareggio di bilancio di Ferrara e Minghetti.Da Keynes in poi i governi non si sono fatti scrupoli a fare debiti per dare un pò di fiato all’economia e consenso ai loro partiti, attraverso la creazione di moneta che poi, visti gli interessi che si sono pagati, sono andati a gravare sulle generazioni a venire. Nell’immediato lo stratagemma keynesiano ovviamente funziona, a medio e lungo termine no, perché il problema economico immediato viene tamponato postergandolo nel tempo.Sul piano politico elettorale queste misure riscuotono certamente molto consenso, perchè difronte all’incertezza del futuro l’uomo naturalmente sceglie l’uovo presente e chi gli promette un intervento solo apparentemente risolutivo, rispetto a chi gli prospetta un’idea più efficace, stabile e razionale ma dilazionata nel tempo. Riconosco però che alle volte la situazione si è fatta talmente incancrenire, magari per eccessivo immobilismo o per assenza di visione, che il margine temporale può essere molto ridotto e pertanto alcune scelte possono essere viziate dalla necessità di porre un rimedio di qualche tipo “hic et nunc” anche drastico e traumatico.
Detto questo però c’è però un livello di cui pochi discutono, ma che io ritengo essenziale, quello della libertà individuale, che risulta sempre più ridotta dall’erosione costante dei profitti delle imprese, dei patrimoni delle famiglie, dei redditi dei lavoratori e del potere di acquisto di salari e pensioni, a causa della crescita esponenziale della tassazione, dell’inflazione, della recessione e dell’indebitamento pubblico, che sono il metodo più facile e sciagurato per ripagare capitali ed interessi sulla moneta appena prima “creata” dalle banche centrali, condivido quanto affermò qualche tempo prima di lasciarci il prof. Antonio Martino “l’inflazione è cosa grave a livello nazionale ma quando riguarda 400 milioni di persone è una cosa gravissima[1].”
Purtroppo questo è quello che è successo e continua a succedere perché le nostre democrazie sono o meglio vivono in “deficit”, prendendo a prestito il titolo di un famoso volume di James M. Buchanan e Richard E. Wagner, trascurando gli effetti sulla società e le persone di azioni dissennate ed autolesionistiche.
Andando all’oggi, apprezzo chi si dichiara contraria in maniera netta e decisa all’innalzamento ulteriore del livello del debito pubblico italiano, anche se in momenti particolarmente difficili come guerre o pandemie sia giusto contrarli finalizzandoli però alla tutela del tessuto produttivo, facendoli a tempo determinato, a tassi fissi, con limiti ben predeterminati e ragionevolmente estinguibili nel ciclo economico.
Come dice il prof. Lorenzo Infantino “uno stato che ha una montagna di debito pubblico come quello che abbiamo….è uno Stato che sottrae risorse alla allocazione competitiva e che sottrae contemporaneamente il futuro alle giovani generazioni, perché l’allocazione politica delle risorse è una allocazione arbitraria, che favorisce chi è più vicino al potere, favorisce gli amici, i sodali, coloro che si trovano più vicini, i clientes, al potere, ma che è una allocazione distruttiva delle risorse[2]”.
Ecco perchè più che invocare misure impossibili da attuare, come il tetto al prezzo del gas, ed economicamente insostenibili, perché la differenza tra quello che pagheremmo noi consumatori e quello che realmente chiede il fornitore dovrebbe essere coperto dalle finanze pubbliche con le nostre tasse presenti e future, e con il rischio di mandare a gambe all’aria i conti dello stato, sarebbero auspicabili atri provvedimenti sia a livello nazionale che comunitario come: smantellare il sistema speculativo di monopolio energetico in mano a poche società quotate in borsa; lanciare una comune politica energetica e di sicurezza europea fondata sulla reciproca solidarietà; liberalizzare l’installazione di sistemi per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili; permettere ai privati cittadini di vendere anche al proprio vicino il surplus elettrico a prezzi liberi di mercato; realizzare una vera collaborazione tra le nazioni alleate, sia europee che Nato, produttrici di energia in maniera tale che il prezzo di quello che importiamo in termini di gas ed elettricità da loro ci sia venduto a prezzi ragionevoli senza speculazioni finanziarie; realizzare rigassificatori, centrali nucleari e termovalorizzatori; utilizzare la possibilità dei contratti bilaterali per la fornitura di energia elettrica o di gas naturale concluso tra gli operatori al di fuori dei mercati gestiti dal GME (Gestore dei Mercati Energetici) che attualmente è solo del 26% del totale scambiato; ripensare una transizione energetica più utopistica che reale che rischia di trascinarci verso la rovina totale del nostro sistema produttivo; aprire nuove vie per i commerci, riformando o rifondando una nuova globalizzazione, perché ci sia libera circolazione di uomini, idee e merci con particolare attenzione da parte italiana ai paesi rivieraschi del Mediterraneo e dell’Africa; iniziare un’autentica cura dimagrante per lo stato ad ogni livello, sia centrale che locale, eliminando sprechi e doppie funzioni che servono a poco e divorano molto; aiutare le imprese e le famiglie con una progressiva riduzione della pressione fiscale; disaccoppiare i costi del gas e quelli dell’energia elettrica; finalizzare prestiti alle imprese anche come credito d’imposta ed aumentare i controlli su quelli erogati in passato; negoziare un nuovo patto di stabilità europeo; abbracciare una politica per il pareggio di bilancio se non annuale, che come principio costituzionale è presente con la modifica dell’art. 81 della carta, almeno nel ciclo economico a medio termine, che avrebbe il vantaggio ulteriore di mettere un freno ad un certo ceto politico troppo prodigo con le risorse pubbliche, oltre a quello implicito di rimettere i conti dello stato in ordine.
Misure difficili, e l’ultima poco popolare, ma che ritengo necessarie per poter superare l’attuale guerra dell’energia globale ed immaginare un futuro di prosperità, serenità e libertà per l’Italia e l’Europa.

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[1] Reagire per le Libertà, Tommaso Romano e Antonino Sala conversazioni con AA.VV., Fondazione Thule Cultura, 2022.
[2] Ibidem.

Salvare l’Italia e l’Europa. Attenzione al debito pubblico e pareggio di bilancio!ultima modifica: 2022-09-16T10:22:12+02:00da torreecorona
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