Intervista sulla destra di Nino Sala a Silvano Moffa

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Silvano Moffa è un esponente storico ed importante della destra italiana, ha ricoperto diversi ruoli politici tra cui Sindaco di Colleferro, presidente della Provincia di Roma, deputato al Parlamento nazionale, sottosegretario alle Infrastrutture nel 2004 ed in ultimo capogruppo di Popolo e Territorio. E’ fondatore e presidente di Azione Popolare ed è iscritto al Partito Tradizional Popolare.

 N.S. L’esperienza di Alleanza Nazionale è stata un fallimento finendo per essere annullata, destrutturata e “nientificata” sia sul piano della rappresentanza parlamentare ma quel che è peggio sul piano culturale e politico, perché?

 S.M. Alleanza Nazionale aveva rappresentato una novità nel panorama politico italiano, una volta esauritasi l’esperienza del MSI. La scelta di confluire nel Pdl, pensando che quella fosse la strada maestra per realizzare il bipartitismo in Italia, e’ stato un errore. AN avrebbe dovuto mantenere la sua autonomia, convergere in una alleanza di centrodestra, ovviamente, ma coltivare l’ambizione di essere un valore aggiunto dell’alleanza. Con la sua cultura, la sua identità, i suoi valori. Invece, si è lasciata annettere. Così si è fatta svuotare ed emarginare. Tutto questo e’ apparso ancor più evidente con l’ascesa al governo. È qui che  la Destra ha perso peso e rilievo. Non è riuscita ad imporre nulla che in qualche modo la rendesse visibile e percepibile agli occhi degli italiani, e, in particolare, del suo elettorato. Ha lasciato che fosse Berlusconi l’interprete più genuino di un modo di essere di una destra più di immagine che di sostanza. In questo annullarsi e destrutturarsi, come tu dici, vedo i prodromi del fallimento e dell’annientamento di una rappresentanza parlamentare della Destra come progetto organico ed unitario. Non c’è dubbio che una delle cause di questa sconfitta vada cercata nella frattura tra cultura e politica; nella ambizione di un ceto politico che, in molti casi, si è lasciato abbagliare e fagocitare dal potere, peraltro mostrando scarsa dimestichezza nel suo esercizio; nella perdita di identità complessiva; nella scarsa attitudine ad elaborare un progetto alto per una società in crisi di valori e di idee, alle prese con le ricadute negative della globalizzazione e succube dei poteri finanziari.

 N.S. C’è ancora lo spazio e la volontà per costruire una vera destra oggi e tra chi, visto che tra le molteplici formazioni che si richiamano alla stessa area sembra esserci solo una rivalità idiota che ha causato e continua a causare solo danni ed equivoci?

 S.M. Se non si ha il coraggio e l’onesta’ di una seria e profonda autocritica non si va da nessuna parte. È da qui che bisogna ripartire. Acquisire consapevolezza su questo terreno rappresenta,  a mio avviso, un buon viatico per chi davvero voglia ridare anima e ruolo ad una Destra politica in Italia. Sapendo, ecco un punto dirimente, che quel che è stato non c’è più e non può ritornare. Chi pensa ad una riedizione di An ho l’impressione che coltivi una illusione. Occorre ,invece, una profonda opera di ri-generazione e di reingegnerizzazione; una immersione analitica nei fattori sociali, antropologici, ambientali,  economici, etici per fissare un nuovo inventario di valori su cui basare un Progetto per l’Italia; una coraggiosa declinazione dei nuovi fattori di conflitto che la Grande crisi  sta enucleando. La crisi della finanza porta con se’ la crisi di un modello di capitalismo, determina nuove e più radicali diseguaglianze, un impoverimento generale, la scomparsa del ceto medio. Sono tutti elementi che richiedono una nuova chiave interpretativa, un approccio diverso, categorie di pensiero “altre” rispetto alle teorie classiche. Qui la Destra, proprio in ragione della sua cultura di provenienza, potrebbe dare il meglio di se’. Purtroppo, tranne poche eccezioni, vedo riaffiorare nell’area cui ti riferisci, vecchi egoismi, presunzioni, autoreferenzialita’, piccinerie che non aiutano. Anzi, sono di ostacolo alla costruzione del Nuovo. Ci vorrebbe una Costituente delle idee e un codice di stile e comportamento valido per tutti. E tanta, tanta umiltà”.

 N.S. Io credo che senza una buona cultura non sia possibile una buona politica, e allora non pensa che bisogna rimettersi a studiare per elaborare, messi da parte antipatie e rivalità, un autentico pensiero di destra ed un unico soggetto politico in cui ci si possa rivedere e rincontrare aldilà delle questioni personali? E che posizionamento dovrebbe avere rispetto a questioni nodali come l’Europa, la moneta e il lavoro, questo nuovo soggetto politico?

 S.M. La risposta credo di averla già data in precedenza. Comunque, ribadisco: senza una solida base culturale non si elabora politica. Di più. Senza cultura non ci può essere Progetto. E senza progetto non si può chiedere rappresentanza, a nessun livello. Mi riferisco ad un Progetto per l’Italia e ad un Progetto per l’Europa. Il pensiero unico dominante chiede “più Europa” per superare la crisi.  Dovremmo, invece,  chiedere e combattere per una Europa diversa dall’attuale; una Europa politica e non tecnocratica; una Europa che restituisca spazi di sovranità agli Stati che ne fanno parte; che ridisegni la sua struttura  e conferisca poteri effettivi al Parlamento europeo; una Europa che affronti decisamente il problema dell’euro e che non sia eterodiretta dalla Germania.

 N.S. A proposito cosa pensa dell’Europa, dell’Euro e dei meccanismi che negli anni ci hanno rubato la nostra sovranità?  E’ possibile recuperala e come?

 S.M. Ci sono studiosi ed economisti che, finalmente, stanno sviluppando analisi e idee diverse rispetto al pensiero unico che ha devastato coscienze e messo in crisi gli Stati sovrani. È interessante leggere le proposte di Galbraith o le tesi di Amoroso o di Jespersen che hanno studiato le ragioni dell’attuale disastro economico  e propongono una forma negoziata di evoluzione del progetto monetario. Che porterebbe alla nascita di due zone distinte: l’area del Nord e quella del Sud Europa, che costituirebbero un duplice polo di riferimento per la cooperazione dentro aree omogenee e il rilancio di politiche di collaborazione verso aree esterne come la Russia, l’Estremo Oriente e i Paesi mediterranei. Un doppio euro restituirebbe ruolo e funzione trainante anche al nostro Paese. Non dimentichiamo che la nostra collocazione geografica e’ un fattore di vantaggio per politiche attive e propulsive nel campo geoeconomico.

 N.S. E’ arrivato il momento di ripensare il nostro modello di sviluppo economico, che soffoca le identità e le tradizioni locali, in ossequio alla modernità e quale potrebbe essere quello nuovo? Si troverà il coraggio per una reazione salvifica?

 S.M. Avremmo dovuto da tempo avviare un dibattito serio sul modello di sviluppo. L’occasione i partiti l’hanno avuta soprattutto nel periodo del governo Monti. Più volte, in Parlamento, ho cercato di stimolare il confronto su questi temi. Ma, dal Pd al Pdl, tutti hanno fatto orecchie da mercanti. Eppure, la consapevolezza che da questa crisi usciremo diversi da come eravamo non manca. Si tratta, allora, di individuare i lineamenti della nostra nuova configurazione competitiva; gli ambiti, i settori sui quali puntare decisamente per trainare l’economia, per recuperare ricchezza e capacità espansiva. A mio parere , bisogna puntare su alcune risorse: turismo, beni culturali, ambiente, eccellenze tecnologiche, logistica integrata, formazione. Una volta eravamo famosi per il Made in Italy. Bene, bisogna ripartire da li’. Dove c’è creatività c’è spazio per la nostra impresa, per gli artigiani, per i giovani che hanno dimestichezza con l’informatica e le nuove tecnologie. Noi siamo insuperabili, quando giochiamo nel campo della qualità. Non è un caso che sforniamo ancora, nonostante i ritardi delle nostre Università, cervelli che fuggono all’estero perché ,qui da noi, si investe poco  nella ricerca. Ecco, la ricerca deve tornare ad essere finanziata con investimenti adeguati. Perché non premiare fiscalmente chi investe in ricerca applicata nel nostro Paese? A che cosa servono l’Enea, il CNR e altri importanti istituti, se poi lo Stato non li mette in condizione di funzionare? Altri Paesi dedicano a questo settore risorse consistenti raccogliendo risultati enormi. Si pensi ai cambiamenti che stanno determinando le nanotecnologie, le missioni spaziali nel campo della medicina. Ormai la gran parte delle nuove applicazioni tecnologiche, parlo delle più  avanzate, provengono dalla ricerca spaziale. E qui l’Italia partecipa al bilancio dell’Esa  collocandosi al terzo posto, dopo Germania e Francia. Non è poco. Il Vega, il lanciatore leggero di ultima generazione, e’ un prodotto italiano. Una eccellenza di cui non si ha sufficiente consapevolezza. Questo e’ un limite che va rimosso. Insomma, il nuovo modello di sviluppo si delinea partendo da questi punti di forza.

 N.S. Come si esce da questa crisi? Marchionne dice che in Italia non ci sono le condizioni per produrre, cosa ne pensa? quali dovrebbero essere le soluzioni?

 S.M. Ha ragione Marchionne. Il problema non è solo quello di una burocrazia pervasiva che soffoca le imprese e di un livello di tassazione che non ha eguali nel mondo occidentale. Il problema riguarda anche la politica del lavoro, nel suo insieme. Ci sono regole ormai superate che configgono con i nuovi modelli lavorativi. Siamo nel post-fordismo, in un’epoca che, con qualche enfasi di troppo, alcuni definiscono post-moderna, e usiamo ancora meccanismi giuridici e formule del periodo in cui l’automazione non era ancora entrata nelle fabbriche, sostituendo l’uomo con la macchina. Abbiamo bisogno di ridefinire il nostro sistema sociale, il welfare; di coniugare in termini diversi il dato sociale , quello inerente la formazione e il sostegno alle categorie più deboli; di imprimere una accelerazione nella configurazione delle nuove tutele rispetto al cambiamento del modello lavorativo e, nello stesso tempo, di mettere in discussione contenuti e qualità della rappresentanza sindacale nei posti di lavoro. Lo Statuto del lavoro va profondamente riformato. Qualcosa si era iniziato a fare nel corso del governo Berlusconi, con il libro Bianco di Sacconi, ma poi tutto si è bloccato.

 N.S. Autarchia, Globalizzazione o decrescita felice?

 S.M. Dalla globalizzazione non si sfugge. Semmai bisognerà capire quali saranno i termini nuovi in cui essa si porrà, una volta superata la Grande Crisi. In questo senso, parlare di decrescita felice fa’ un certo effetto. Sarebbe la prima volta, nella storia dell’ umanità che il progresso si arresta, che si torna indietro, invece di andare avanti. Ora, che le condizioni di benessere e di ricchezza siano state fortemente segnate dalla Crisi non c’è dubbio. Sono aumentate le diseguaglianze. E questo e’ un tema che la Destra dovrebbe far proprio. Non nel nome di un ingannevole egualitarismo, ma perché non si sfugge al tema di una ridistribuzione della ricchezza, una volta scomparso il ceto medio e impoverite le famiglie e le imprese.

 N.S. Infine, in futuro, speriamo vicino, ci sarà un’Altra Destra al servizio dell’uomo e dell’Italia, senza nostalgismi, primazie, pregiudizi, albagie, orgogli di parte o discriminatori, dettati dall’interesse personale, purificata da errori madornali, inesattezze ed incompressibili posizioni sul piano dottrinale che né hanno determinato la marginalizzazione, tornata a quella intransigenza valoriale e se permette a quella diversità etica che ci contraddistingueva dalla moltitudine  di boiardi di stato che popolano da sempre la foresta del potere? Vede qualche leader in lontananza?

 S.M. È quel che spero. Per riuscire nell’impresa non lasciamoci ingannare ,però, dalle scorciatoie. C’è molto da costruire per ridare senso alla Politica e anima alla Destra. Costruire in ogni campo. Le  classi dirigenti? Bisogna formale. C’è sete di formazione politica, amministrativa, tecnica nel nostro Paese. Investire in questo ambito richiede coraggio, spirito dedizione. Non basta più un leader, per quanto telegenico e affascinante, a risollevare la Politica, ricreando quel circuito partecipativo e produttivo di idee di cui abbiamo parlato prima. Attrezziamoci ad attraversare nuovamente il deserto. Questo  non significa affatto estraniarsi  dagli appuntamenti elettorali.  Intendo soltanto dire che pecca di vista corta chi punta gli occhi soltanto sul prossimo appuntamento elettorale immaginando un riscatto immediato. Certo, può anche accadere che qualche spazio si apra per le sorti individuali di qualcuno. Ma non è certo questo sufficiente per dire che la Destra è tornata ad essere protagonista e decisiva per i destini del Paese. Cominciamo dal rimettere in cammino una Comunità frastornata e spaesata. Facciamolo bene e subito. Le soddisfazioni non mancheranno.

 N.S. Grazie e a presto.

Intervista sulla destra di Nino Sala a Silvano Moffaultima modifica: 2013-08-08T10:02:00+02:00da torreecorona
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