La Grande Bellezza di Roma vilipesa.

Sono nato a Roma anche se la mia famiglia è siciliana e vivo nella capitale da qualche tempo, ammirandone lo splendore e la bellezza, che ogni giorno colpisce il mio animo. Una città unica, meravigliosa, la più bella del mondo. Ma al contempo sto vedendo il suo malessere tragico che inesorabile aumenta costantemente. Lo prova chi vive qui, tra arte sublime e un degrado tremendo che è culturale, politico, sociale ed umano. Le ultimissime inchieste aperte dalla magistratura sembrano svelare un mondo sommerso ma non troppo, che ha vissuto sulla pelle prima dei romani e delle loro difficoltà, poi su quella degli zingari che stanziano nei campi rom: veri e propri getti senza dignità, dove accade di tutto e che nessuno vuole vicino casa propria a cominciare da chi li ha aperti e poi mantenuti a spese degli italiani ed in ultimo su quella dei clandestini, che si stanno riversando sulle coste siciliane in massa senza nessun controllo. Parlo di degrado e non di disagio, come piacerebbe a molti radical chic ben pensanti, in tutte le sue forme e sfaccettature: da quello culturale a quello politico finendo poi a quello umano. Si perché la politica che non ha saputo arginare l’illegalità e la voracità di malfattori ed opportunisti di tutte le latitudini partitiche, è figlia della cultura rivoluzionaria sessantottina che voleva la “fantasia al potere” senza più “ne padri e ne maestri” al grido di “vietato vietare” che ha desacralizzato le istituzioni e la vita civile e che nel “buon selvaggio” aveva il suo mito di riferimento. Adesso siamo arrivati forse al capolinea. Adesso si scopre che proprio chi di quei “illuminati pensieri” era stato uno dei propagandisti chiedeva tangenti su ogni “schiavo” fatto arrivare dall’Africa, chiamandolo migrante e non clandestino, ma sfruttandolo alla stessa maniera. Adesso, chi per tanti anni ha amministrato la città dal Campidoglio fa finta di non sapere, quando invece se fosse successo ad altri avrebbe subito tirato fuori il teorema “non poteva non sapere”. Adesso che tutto sembra piano piano venire fuori, la Città piange per una classe dirigente affaristica, avida, insaziabile, disumana, anticristiana, e soprattutto senza valori morali. Adesso che di selvaggi ne sono arrivati fin troppi, anche tra i colletti bianchi del potere capitolino. Adesso che le strade della Capitale sono alla meglio “regie trazzere” di campagna piene di fossi o alla peggio discariche a cielo aperto, e a Trastevere, quartiere turistico, tra rifiuti e lerciume una coppia ubriaca si abbandona ad effusioni amorose degne di un documentario sull’accoppiamento delle scimmie in pieno giorno. Adesso tutti si scandalizzano profferendo le solite ipocrite dichiarazioni di ringraziamento verso le forze dell’ordine e la magistratura che hanno fatto pulizia. Adesso di contro io mi chiedo: di chi è la responsabilità?  Quale mostruosità culturale ha provocato tutto questo lassismo morale che ha permesso l’offesa alla Grande Bellezza di Roma? E una risposta me la sono data da solo: la perdita del senso del sacro ormai in ogni ambito della vita: da quello privato a quello pubblico. La tanto declamata laicità rivoluzionaria, senza né Re e né Regno, ci ha consegnato solo degrado e oscenità. Persino chi è in alto, è silente rispetto a questo aspetto, parla di tutto: dalla fame nel mondo alla povertà, troppo spesso invocata come valore salvifico, ma poco della desacralizzazione della nostra vita sociale e familiare. DIO, quello Vero ed Unico, quello CRISTIANO, Uno e Trino, questo mondo infame, pieno zeppo di ingordi di lercio denaro, tenta di scacciarlo dalla Sua Città Eterna costruita a Sua Gloria prima dai Cesari, impreziosita poi dai Papi e custodita dai Re, in nome del rispetto di tutte le pseudoculture, anche di quelle anticristiane e antiromane. La Patria del diritto non conosce più né quello divino né quello umano, in preda allo sbandamento indotto dall’incultura della rivoluzione. Diventare atei, bestemmiatori e miscredenti, apolidi senza patria e tradizioni è l’unico orizzonte che ci viene propinato in varie forme dai grandi media e dal pensiero postmoderno dominante. Ma se la cultura è la coltivazione della propria umanità, come asseriva Attilio Mordini, come possiamo meravigliarci di quanto sta accadendo sulla pelle dei poveracci che vengono fatti sbarcare in Sicilia, quando questa viene abbandonata per abbracciare la via del profitto a tutti i costi in nome di una carità pelosa ma molto fruttuosa? Perché chi agisce in nome del “popolo sovrano” lo fa esclusivamente nel proprio interesse se ormai tutto è solo immanente? Scrive Tommaso Romano “Il reale che invocate è una falsa, corrotta apostasia, una parodia della realtà.    Secondo tale schema, infatti, dato che si pratica l’omicidio, l’infanticidio, la violenza sessuale, la pedofilia, tutto dovrebbe ammettersi in nome di tale falsa nonché “reale” rappresentazione della realtà.” Aggiungo io, se basta prendere atto di ciò che di cattivo accade in mezzo a noi e renderlo lecito e in molti casi anche legale, allora perché scandalizzarsi ed accanirsi contro coloro che operano per come sono stati educati a fare? In tutto questo però una nota positiva voglio coglierla: forse la fine non è lontana, l’accelerazione impressa a tutti i fenomeni dissolutori in atto, mi fa sperare che presto questo treno impazzito esaurirà la sua corsa. Inoltre ho visto come tantissime persone hanno affollato il 2 giugno la parata militare dei Fori Imperiali, l’ultima autentica manifestazione di sentimento nazionale, applaudendo al passaggio dei nostri soldati, nei nostri carabinieri, delle forze di polizia, dei marò e dei loro compagni lasciati in India a soffrire, delle frecce tricolori come sempre eccezionali, degli allievi della Guardia di Finanza, dei reparti storici della Prima Guerra Mondiale anche se qualcuno si è dimenticato che la bandiera era quella del Regno d’Italia, della Croce Rossa Militare, del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, dei volontari del servizio civile, dei corazzieri a cavallo, dei bersaglieri, dei corpi scelti e di tutte le armi che hanno sfilato.

Tutto ciò testimonia come ancora oggi, la nostra gente abbia bisogno di simboli forti in cui identificarsi, che nonostante tutto ancora conservano un barlume di sacralità, che esalta ed attira ammirazione, come questi uomini che mettono a rischio la cosa più sacra che esiste la vita, oggi minacciata e vilipesa in più maniere.

Antonino Sala

 

 

 

La Grande Bellezza di Roma vilipesa.ultima modifica: 2015-06-07T18:37:49+02:00da torreecorona
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