La destra, la sindrome del liberto e la sua cura

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Il termine libertus (cioè liberatus) “liberto” nella Roma antica indicava uno schiavo affrancato, che generalmente continuava a vivere nella casa del patronus e aveva nei suoi confronti doveri di rispetto e obblighi di varia natura anche economica. Nella Roma di oggi l’unico padrone che c’è è Silvio Berlusconi, il quale detiene tutto: televisioni, giornali, governo, calcio e parlamentari, ma quel che è peggio si è impossessato, snaturandola, della destra italiana che non riesce ad essere cosa vera e diversa da lui.

La sua figura è e rimarrà controversa: odiata dalla sinistra in maniera viscerale, tanto che qualcuno ne augura la morte solo dopo un pubblico ludibrio quasi fosse un vile bandito stupratore di giovani suore cosicché l’atavica rivoluzionaria giacobina e febbrile voluttà di sangue ne verrebbe saziata, ma al contempo amata acriticamente e fin troppo osannata a destra e quel tanto che basta al centro da non permettere una seria e pacata analisi su questo ventennio da tutte e due i lati.

Se poi analizziamo quello che è successo alla destra del Silvio salvatore, ci rendiamo conto subito che forse bisognava, prima di imbarcarsi sul suo vascello, vaccinarsi massicciamente contro le probabili infezioni neo populiste e ciarliere di cui poi si è diventati vittime anche inconsapevoli.

Forse gli uomini della destra non erano ancora pronti, quando scoppiata tangentopoli ed annientato il precedente sistema politico venivano catapultati al governo della nazione e quindi dovettero far di necessità virtù inventandosi formule innovative, qualcuna anche spregiudicata, dovendosi in qualche maniera rendere presentabili, non tanto agli italiani, che in fin dei conti li conoscevano bene, ma all’establishment internazionale che in parte li vedeva come il rimasuglio scomodo dell’odiato e sconfitto fascismo.

Il 23 novembre 1993 a Casalecchio di Reno quando Silvio Berlusconi dichiara di preferire Gianfranco Fini a Francesco Rutelli come sindaco di Roma scatta dentro questo mondo come una malattia di cui si sconosceva la cura, ormai diventata cronica per alcuni, la sindrome del libertus, cioè di colui che essendo stato liberato dalla sua condizione di inferiorità resta per tutta la sua esistenza terrena grato, ossequioso e obbediente al suo padrone liberatore: questo è successo ai molti, che dopo aver militato nelle formazioni politiche della destra italiana oggi non sono in grado di abbandonare la casa del padrone, avendo ormai lasciato quella del padre e vivere pienamente la propria vita.

Questa area politica, soprattutto quella post fascista ma anche quella monarchica, che insieme facevano la destra nazionale, era stata tenuta pregiudizialmente ai margini della vita istituzionale dell’Italia quasi con disprezzo, troppo vicina era la tragedia della guerra e troppo feroci erano state da un lato e dall’altro, come in ogni fenomeno rivoluzionario dal 1789 in poi in Europa, le vendette gli odi e gli eccidi per poter accettare una memoria condivisa. Ma la discesa in campo del magnate delle Tv rimetteva tutto in discussione ammettendo al potere anche chi ne era stato tenuto lontano come gli esponenti del MSI.

Questo scatenò da un lato ancor maggior odio verso Berlusconi stesso, reo di avere accettato l’accordo con i fascisti e i loro eredi che dir si voglia e dall’altro una certa esaltazione in costoro che finalmente potevano dirsi “liberi” di essere ministri grazie proprio a lui.

Ma questa sindrome ha una fondamento reale o è immaginaria? da cosa nasce? esiste una cura?

Questa sindrome è assolutamente reale, perché i suoi sintomi sono evidentissimi (inedia, paura dell’abbandono, gravi e diffusi deficit cogniti) aggiungo inoltre che ad essa si somma anche quella ”dello specchio stregato”, o meglio definita come quella della ”bruttezza immaginaria”: un’ossessione patologica che in qualche caso porta addirittura al suicidio, in cui il malato comincia a preoccuparsi in maniera eccessiva per un difetto del proprio aspetto che in realtà è assolutamente insignificante o addirittura inesistente, tanto da non sentirsi accettato dagli altri, in questo caso dai cosiddetti salotti buoni del potere, e quindi  affiorano ‘distress’ e ‘impairment’, e la conseguente compromissione delle normali attività della vita, si manifesta con fenomeni diversi come l’inadeguata interazione sociale (aggressività, passività o l’isolamento) per uno e l’indebolimento fisico e la menomazione per l’altro. Sintomi palesi ed apodittici presenti nella maggior parte, con alcune eccezioni, degli esponenti della destra italiana.

Le cause sono molteplici, ma quello che mi sembra più marcato è un’ amnesia retrograda, ovvero la perdita di memoria per gli eventi accaduti prima di un trauma ma con una completa lucidità per tutto ciò che è successo in seguito, ma anche, volendone fare una differenziazione temporale, una forma progressiva che comporta l’andamento scalare della mancanza di reminiscenza sino alla quasi rimozione totale della rimembranza della propria origine e della propria storia, anche se in alcuni casi è solamente una grande ignoranza.

Si è dimenticato che nella storia italiana ci fu una destra vittoriosa e in qualche caso anche istituzionale e di governo dopo la guerra, basta ricordare alcuni luminosi esempi come Achille Lauro sindaco di Napoli dal 1952 al 1957 e poi di nuovo nel 1960, l’esperienza in Sicilia della giunta guidata da Silvio Milazzo dal 1958 al 1960, con un’originale coalizione fra la sua Unione Siciliana Cristiano Sociale, il PSDI, il PLI, il PRI e il Movimento Sociale Italiano (Dino Grammatico fu assessore all’Agricoltura), con l’appoggio del PSI e del PCI (Paolo D’Antoni, Vice presidente) allora guidato da Emanuele Macaluso, operazione politica che riuscì a scalzare la Democrazia Cristiana dalla guida del governo regionale siciliano con importanti conseguenze sulla politica nazionale, il governo Tambroni che il 21 marzo 1960 ottenne la fiducia della Camera, per soli tre voti di scarto (300 sì e 297 no), con il determinante appoggio dei deputati missini e il 29 aprile al senato con 128 sì e 110 no ottenendo la fiducia, le elezioni politiche italiane del 1972 nelle quali l’MSI-DN (in cui si erano anche candidati i monarchici e molti ufficiali dell’esercito e funzionari delle Forze dell’ordine) fece registrare un considerevole successo, raccogliendo l’8,7% dei voti alla Camera ed il 9,2% al Senato, quelle europee del 1984 in cui si ottenne il 6,47 % e 5 europarlamentari che, insieme agli eurodeputati del Front National (oggi primo partito in Francia), formarono il Gruppo delle Destre Europee al Parlamento europeo, la presidenza nel 1985 di una Giunta, quella delle elezioni alla Camera, con Enzo Trantino, con il consenso dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi prima volta nella storia repubblicana, le competizioni amministrative del novembre 1993 con le vittorie di Chieti, Colleferro con Silvano Moffa, Benevento con Pasquale Viespoli e Latina dove vengono eletti sindaci i candidati del MSI, ma il successo è riscontrato soprattutto a Roma ed a Napoli: nella capitale il segretario Gianfranco Fini ottiene il 35,5 % ed a Napoli Alessandra Mussolini il 31,1 %, ed infine lo strepitoso risultato nel febbraio 1994 di Nello Musumeci che con suffragio diretto, diviene, dopo il ballottaggio, presidente della Provincia di Catania con la sola lista MSI-Destra Nazionale, ed altri ancora che non cito per necessità di sintesi.

La perdita di questa memoria di vittorie e successi innegabili, fece si che per uno strano caso del destino i dirigenti dell’MSI e poi di AN cominciarono a credere, indotti dai media sapientemente orientati, e a propagandare poi loro stessi che fosse stato tutto merito di Berlusconi se nel 1994 finalmente dopo 46 anni di esilio forzato arrivavano all’eldorado del potere e non di un impegno politico costante e valorialmente alto portato avanti con determinazione da uomini come Almirante, De Marsanich, Romualdi e Michelini.

Arrivando all’oggi quella che fu opera di propaganda e persuasione a trovato il suo apogeo nello scioglimento del partito, ma quel che è peggio nella assoluta convinzione di molti dirigenti nazionali che senza il dominus di Arcore, nessuna strada fosse percorribile e possibile, tanto da rinnegare tutto senza vergogna alcuna e transitare senza pensieri nella rinata Forza Italia abiurando persino se stessi e la propria storia. O presentandosi, e il caso di alcune piccole frange autonome, ovunque alleati o peggio nella stessa lista, senza proporre alternative credibili e concrete al degrado rappresentato da coalizioni fatte esclusivamente per conquistare poltrone e potere.

Fin qui i sintomi e gli effetti della sindrome, e la cura esiste?

Si certo, il recupero della memoria senza nostalgia e il coraggio di osare, presentando non delle proposte facilmente diverse ma una politica totalmente alternativa al sistema oggi rappresentato dall’alleanza di governo PD PDL e una nuova e buona classe dirigente, non condizionata dall’idea di dovere ad altri i propri successi, capace di essere al difuori dagli schemi incapacitanti degli ultimi 20 anni, orgogliosa della propria tradizione e pronta sul piano culturale a reggere le sfide durissime del prossimo futuro.

La destra deve tornare ad essere e a fare la destra, senza complessi o compromessi.

C’è oggi più che mai bisogno in Italia di un vera e libera destra in grado di pensare, presentare e speriamo realizzare alcune idee essenziali per il futuro dell’Italia:

·  una riforma dello Stato in forma di Repubblica Presidenziale o di Monarchia elettiva

·   un federalismo autentico che sappia valorizzare e responsabilizzare le autonomie locali potenziandole

·  una nuova Europa su basi confederali e non coloniali a trazione tedesca come oggi si presenta

·   un’equa ripartizione di mezzi economici: ridisegnando un modello di sviluppo economico conforme all’ambiente naturale; creando un rapporto solidaristico fra i paesi ricchi e i paesi poveri; occupando mano d’opera nella riconversione e nella bonifica di tante aree oggi abbandonate e recuperabili all’agricoltura, anziché ostinarsi a seguire la strada di un esasperato ed errato processo di sviluppo industriale che ha avvelenato la terra, l’acqua e l’albero, fino a raggiungere le alte sedi dell’immenso stratosferico; frenando l’emigrazione senza che venga meno quella concreta solidarietà che si traduce cristianamente in una cultura dell’’accoglienza, soprattutto nei casi dei rifugiati politici, difendendo sia la proprietà privata, la libera iniziativa economica e la tutela del risparmio, ponendo degli argini, con opportune misure legislative, all’espandersi incontrollato della proprietà dei grandi trust.

·  l’istituzione o meglio il ritorno alle monete regionali o complementari per rilanciare l’economia reale.

 

Solo cosi si esce dalla sindrome del liberto, solo così si potrà chiedere in futuro agli italiani di dare il loro consenso, solo così non si sarà forzati per sopravvivere a stare nella casa del patronus insieme a chi non ci è congeniale, ma soprattutto solo così non si avranno obblighi nei suoi confronti ma solo verso la Patria.

Nino Sala

 

 

La destra, la sindrome del liberto e la sua curaultima modifica: 2013-10-21T00:39:00+02:00da torreecorona
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