Marx ed il marxismo: figli legittimi del totalitarismo antiliberale di Hegel. Parte prima.

Cari amici, pongo alla vostra attenzione la prima parte di un mio saggio su Marx ed il marxismo, che rappresenta un ulteriore e spero chiarificatore passaggio critico, dopo quelli su Hegel e Kierkegaard. Buona Lettura.

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Marx ed il marxismo: figli legittimi del totalitarismo antiliberale di Hegel

Parte prima

I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l’ordinamento sociale finora esistente.” Da Il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels (1848)

Tutti i socialisti son d’accordo in ciò, che lo Stato politico e con lui l’autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e si cangeranno in semplici funzioni amministrative, veglianti ai veri interessi sociali. Ma gli anti-autoritari domandano che lo Stato politico autoritario sia abolito d’un tratto, prima ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali che l’hanno fatto nascere. Essi pretendono che il primo atto della rivoluzione sociale sia l’abolizione della società. Non hanno mai visto questi signori una rivoluzione? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che ci sia: è l’atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all’altra parte per mezzo di fucili, baionette e cannoni; mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuole aver combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi inspirano ai reazionari.” da Dell’autorità di Friedrich En gels (1872)

Le parole di Marx ed Engels sono a distanza di 172 anni, ancora esplicitanti di quello che è stato ed ancora è il comunismo come pensiero e quale sia la radice da cui è fiorito e quali sono ancora oggi i frutti “prodigiosi” e al contempo avvelenati ed amari di cui si sono saziati non la categoria, da loro individuata e nominalizzata, dei proletari, ma i burocrati del partito dei lavoratori transitati poi nelle file degli stati sovrani: Hegel e l’hegelismo militante.

Grazie a i presupposti del pensiero tedesco dominante in quegli anni e di cui loro stessi si dissero eredi, “noi socialisti1 tedeschi siamo orgogliosi di discendere (oltre che da Saint-Simon2, da Fourier3 e da Owen4) da Kant5, da Fichte6 e da Hegel7, è stato possibile ai due l’elaborazione di una teoria, assolutamente razionalista e al contempo assolutamente anti umana, fondata sul principio che il pensiero attraverso la tecnica dialettica fosse in grado di spiegare, modificare, distruggere e riedificare la realtà, riadattandola anche, come sostengono loro stessi, con la violenza e le armi, senza rispetto per la vita di nessuno, allo loro visione del mondo. Il marxismo, come scrive Dario Antiseri, è il punto di arrivo del razionalismo europeo, di un razionalismo che elude, con una decisione arbitraria, il problema dell’esistenza di Dio, che rigetta senza alcuna argomentazione ragionevole il dogma del peccato originale e che, di conseguenza, eleva la politica a religione, istituzionalizza il culto idolatrico di una umanità divinizzata e pretende di realizzare, per mezzo della pratica della rivoluzione, «il Regno millenario della libertà».

Solo attraverso l’uso della dialettica del loro maestro Hegel, si può cogliere l’essenza totalitaria che permea il pensiero socialista dei due. Infatti con Hegel la dialettica si trasformò da strumento di pensiero in fine ultimo dello stesso, assegnandole una valenza positiva, in maniera da far combaciare la verità con essa e quindi col divenire stesso.

Il tedesco capovolse la prospettiva che lo aveva preceduto: infatti ora la dialettica diventa il processo con cui Dio afferma se stesso, giungendo a identificarsi con la storia incarnata nello Stato. Hegel concepiva la verità come immanente o conseguente la razionalità conoscitiva, riprendendo Eraclito affermava che ogni realtà procede dal suo opposto, arrivando a sostenere che nella sintesi finale ogni realtà è al tempo stesso il suo contrario. In questa visione non c’è la necessità di un principio trascendente ma tutto scaturirebbe dai contrari reciproci, per dare luogo soltanto alla fine, attraverso la loro contrapposizione, all’Idea che li comprende. Ciò avviene secondo un procedimento a spirale caratterizzato dalla triade: tesi, antitesi e sintesi; come tre momenti dell’«in sè», «per sè», e «in sè e per sè». In questo sistema l’Assoluto non ne è all’origine ma alla fine, e scaturisce dalla sinossi dei due contrari.

In virtù di questo movimento triadico, l’Essere (tesi) assume la forma del non-essere (antitesi) e tutti e due verranno superati superati dalla sintesi, che è a sua volta la negazione della negazione (il divenire stesso). Il non-essere, così, non è la negazione dell’Essere, ma paradossalmente un passaggio verso la sua affermazione8.

Marx, non fece altro che applicare la logica del suo maestro alla storia, affermando che questa scaturisce dalla lotta dinamica fra gli opposti: “Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.”9, cosicché le contrapposizioni della realtà non trovano conciliazione in un principio superiore (come ad esempio Dio), ma nella storia stessa, il cui esito finale, secondo Marx, è immanente al rapporto dialettico tra le classi sociali, e in particolare tra la “struttura” economica (costituita dai rapporti materiali di produzione) e la “sovrastuttura” (gli apparati culturali che ne nasconderebbero la vera natura).

Questo sistema concettuale prese il nome di materialismo storico, riformulato da Engels come materialismo dialettico, che addirittura lo applica in un ulteriore campo di speculazione con la denominazione di Dialettica della natura, paragonandola anche alla scoperta della selezione naturale dell’evoluzione darwiniana, come dottrina della materia in movimento e logica della contraddizione “[…] nella natura sono operanti, dice Engels, nell’intrico degli innumerevoli cambiamenti, quelle stesse leggi dialettiche del movimento che anche nella storia dominano l’apparente accidentalità degli avvenimenti; quelle stesse leggi che, costituendo del pari il filo conduttore della storia dello sviluppo del pensiero umano, diventano gradualmente note agli uomini che pensano; leggi che per la prima volta furono sviluppate da Hegel in maniera comprensiva, ma in forma mistificata, e che è stato uno dei nostri intenti liberare da questa forma mistica e rendere chiaramente comprensibili in tutta la loro semplicità e universale validità.”10

La dialettica marxiana secondo lui si applica anche alla natura e poggia su tre leggi:

  • La legge della conversione della quantità in qualità (e viceversa).

  • La legge della compenetrazione degli opposti (ossia dell’unità e del conflitto degli opposti) garantisce l’unità ed al tempo stesso il mutamento incessante della natura.

  • La legge della negazione della negazione: ogni sintesi è a sua volta la tesi di una nuova antitesi che darà luogo ad una nuova sintesi che risolve le contraddizioni precedenti e genera le sue proprie contraddizioni.

Queste leggi determinano un divenire, sia naturale che storico, necessario ed essenzialmente progressivo, che ha tuttavia caratteristiche rivoluzionarie, con svolte brusche e violente, e non quelle di una pacifica evoluzione gradualistica. Queste leggi sono spesso state addirittura interpretate come critica e negazione del principio di non contraddizione. Marx capovolse cos’ il metodo di Hegel che a suo giudizio “poggiava sulla testa” (cioè sullo Spirito, visto come entità fondante la dialettica storica) “riportandolo sui piedi” (cioè basando la sua filosofia sulla supremazia della materia, di cui i fenomeni spirituali o mentali nel cervello umano sono un prodotto).

Il riconoscimento del mutare della realtà, che per Hegel erano espressione dello svolgersi della dialettica dello Spirito, in Marx divenne frutto del risolversi e del continuo ricrearsi della contraddizione all’interno degli oggetti materiali, in un’evoluzione che non ha una direzione data dall’esterno ed è intervallata da salti qualitativi, che nella storia consistono nelle rivoluzioni.

Dalla visione materialista tradizionale, suffragata dalle teorie di Charles Darwin, Marx assume l’idea che la natura non-vivente precedette quella vivente, che, come animali capaci di pensiero astratto e coscienti di sé, gli uomini si sono evoluti in esseri intelligenti.

Conseguenza fondamentale del pensiero di Marx è che “i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; (ora) si tratta però di mutarlo”11. Così come il mondo non è statico ma si dipana dialetticamente seguendo le sue contraddizioni interne, così la nuova filosofia deve schierarsi nello scontro tra forze antagoniste, per lui le classi sociali, e avere l’obiettivo della soluzione per via rivoluzionaria e violenta della contraddittorietà del reale. Con questo assioma Marx pone i presupposti per la nascita del cosiddetto “intellettuale organico” che combatte per la rivoluzione in nome di un ribaltamento della verità e della realtà. Già Giovanni Gentile sosteneva “la materia del materialismo storico, lungi dall’essere esterna ed opposta all’Idea di Hegel, vi è dentro compresa, anzi è una cosa medesima con essa”.12

Per potere compenetrare il pensiero marxista bisogna affrontare, anche con una certa attenzione, quello che scrive Engels in risposta a Karl Eugen Dühring economista e filosofo tedesco, esponente del positivismo tedesco, nel famoso Anti-Dühring, a proposito della differenza fra materialismo volgare e materialismo dialettico. La “gravissima” colpa che viene attribuita con tono sprezzante a Dühring è quasi di offesa alla divinità di Marx e del suo costrutto, dopo che nel 1868 aveva pubblicato sulla rivista Ergänzungsblätter zur Kenntniss der Gegenwart una recensione del primo libro del Capitale, in cui aveva messo in evidenza che l’uso della dialettica era sbagliato in quanto priva di valore scientifico. Così il terribile inquisitore e fedele esegeta marxiano, Engels in La scienza sovvertita del signor Eugen Dühring (Herrn Eugen Dühring’s Umwälzung der Wissenschaft) risponde che la dialettica hegeliana, una volta rovesciata e fondata su basi reali, è un procedimento rigorosamente scientifico perchè concepisce la realtà, umana e naturale, come movimento e processo dinamico. Afferma infatti, nell’Anti-Dühring con un batti e ribatti tra lui ed il suo avversario nel capitolo XII. Dialettica. Quantità e qualità, dopo le frasi di Dühring ” Il primo e il più importante principio sulle proprietà logiche fondamentali dell’essere verte sull’esclusione della contraddizione. La contraddizione è una categoria che può appartenere solo alla combinazione delle idee e non alla realtà. Nelle cose non ci sono contraddizioni o, in altri termini, la contraddizione, posta come reale, è essa stessa il colmo del controsenso (…) L’antagonismo di forze che, in opposte direzioni, si misurano a vicenda, è proprio la forma fondamentale di tutte le azioni nell’esistenza del mondo e dei suoi esseri. Ma questo contrasto delle direzioni delle forze degli elementi e degli individui non coincide minimamente con l’idea di assurdità contraddittorie (…) Qui noi possiamo esser paghi di aver dissipato, mediante una chiara rappresentazione della verace assurdità della contraddizione reale, le nebbie che sorgono abitualmente dai pretesi misteri della logica, e di aver messo in evidenza l’inutilità dell’incenso che qua e là si è prodigato al fantoccio di legno della dialettica della contraddizione, goffamente scolpito e sostituito alla schematizzazione antagonistica del mondo.” (Engels) È questo pressappoco tutto ciò che si dice della dialettica nel “corso di filosofia”. Nella “Storia critica”, per contro, la dialettica della contraddizione, e con essa specialmente Hegel, viene trattata in un modo completamente diverso.

(Dühring) “La contraddizione, in effetti, secondo la logica hegeliana, o piuttosto la dottrina del logos, può cogliersi obiettivamente e, per così dire, toccare con mano, non già nel pensiero che, per sua natura, si deve rappresentare non altrimenti che come soggettivo e consapevole, ma nelle cose e nei fenomeni stessi, cosicché il controsenso non resta una combinazione impossibile del pensiero, ma diventa una potenza effettiva. La realtà dell’assurdo è il primo articolo di fede dell’unità hegeliana di logico e alogico (…) Quanto più contraddittorio, tanto più vero o, con altre parole, quanto più assurdo, tanto più credibile: questa massima, che non è affatto una nuova invenzione, ma che è tratta dalla teologia della rivelazione e delle mistica, è la cruda espressione del cosiddetto principio dialettico.”

(Engels) Il pensiero contenuto nei due luoghi citati si compendia nella proposizione la quale dice che contraddizione = controsenso e perciò non può esserci nel mondo reale. Questa proposizione, per gente che altrimenti è di sufficiente buon senso, può avere lo stesso valore di evidenza della stessa proposizione la quale dice che diritto non può essere curvo e curvo non può essere dritto. Ma il calcolo differenziale, malgrado tutte le proteste del buon senso, pone tuttavia, sotto certe condizioni, l’identità di diritto e curvo e ottiene così dei risultati che il buon senso, il quale si ostina a dire assurda l’identità di diritto e curvo, non potrà mai raggiungere. E, data la parte importante che la cosiddetta dialettica della contraddizione ha rappresentato nella filosofia dagli antichissimi greci fino ad oggi, persino un avversario più forte di Dühring si sarebbe sentito in dovere di confutarla con ben altri argomenti che un’unica asserzione e molte ingiurie.”

Trapela, da questo breve estratto dell’opera, tutta l’acrimonia di chi si deve arrampicare attraverso artifici retorici di ogni genere, tirando anche in mezzo il calcolo differenziale, per potere giustificare e spiegare alla fine “la inspiegabilità” della dialettica degli opposti che si interscambiano senza contraddizione anzi arrivando a negare persino il principio di non contraddizione alla base di ogni autentico pensiero razionale.

Dühring aveva inoltre affermato che “pure, la sana logica presumibilmente trionferà della sua caricatura (…) Queste grandi arie e questa misteriosa robaccia dialettica non darà a nessuno, che abbia ancora un po’ di giudizio, la tentazione di occuparsi di (…) queste deformità di pensiero e di stile, con la morte degli ultimi avanzi di queste follie dialettiche, questo mezzo per turlupinare (…) perderà la sua influenza ingannatrice e nessuno crederà più di doversi tormentare per inseguire una saggezza nella quale il nocciolo di queste cose arruffate, una volta messo a nudo, mostra, nel migliore dei casi, i tratti di teorie ovvie, se non di luoghi comuni (…) È assolutamente impossibile riprodurre gli aggrovigliamenti” (marxiani) “conformatisi alla dottrina del logos, senza prostituire la sana logica”. La capacità di Marx fu senza dubbio “nell’imbastire miracoli dialettici per i suoi fedeli”, astrusi quanto prolissi.

Ma Engels, nel tentativo di uscire dal pantano mentale in cui si è trascinato da solo, afferma con impeto “Marx nota: Qui, come nelle scienze naturali, si rivela la validità della legge scoperta da Hegel nella sua Logica, che mutamenti puramente quantitativi si risolvono a un certo punto in differenze qualitative”, mettendosi a osservare il mondo sulle spalle di Hegel nel tentativo di assicurare una autorevolezza maggiore alle elucubrazioni mentali marxiane.

Ma il vero punto di non ritorno lo troviamo nella risposta di Engels a questa dura ma logica affermazione di Dühring “questo schizzo storico (della genesi della cosiddetta accumulazione primitiva del capitale in Inghilterra) è tutt’ora relativamente la cosa migliore del libro di Marx e sarebbe ancora migliore se non si fosse puntellato per andare avanti, oltre che sulle grucce della dottrina, su quelle della dialettica. Cioè, in mancanza di qualche mezzo migliore e più chiaro, qui la hegeliana negazione della negazione deve far da levatrice ed estrarre l’avvenire dal grembo del passato. La soppressione della proprietà individuale, compiutasi nella maniera già detta sin dal XVI secolo, è la prima negazione. Essa sarà seguita da una seconda, caratterizzata come negazione della negazione e perciò come ristabilimento della “proprietà individuale”, ma in forma più elevata, basata sul possesso comune del suolo e degli strumenti di lavoro. Se questa nuova “proprietà individuale” è stata ad un tempo chiamata da Marx anche “proprietà sociale”, qui si palesa la superiore unità di Hegel, nel quale la contraddizione deve essere superata, ossia secondo un gioco di parole, deve essere insieme sorpassata e conservata (…) Conseguentemente l’espropriazione degli espropriatori è per così dire il prodotto automatico della realtà storica nelle sue relazioni materiali esterne (…) Difficilmente un uomo giudizioso si lascerebbe convincere della necessità della proprietà comune del suolo e del capitale sul credito dato alle fandonie di Hegel, una delle quali è la negazione della negazione (…) L’ibrida formula nebulosa delle idee di Marx non sorprenderà, del resto, chi sappia che cosa si può combinare o piuttosto che stravaganze debbono venir fuori prendendo come base scientifica la dialettica di Hegel. Per chi sia ignaro di questi artifici bisogna notare espressamente che la prima negazione hegeliana è il concetto catechistico di peccato originale, e la seconda è quella di una superiore unità che porta alla redenzione. Ora, non è effettivamente possibile fondare la logica dei fatti su questo giochetto analogico preso a prestito dal campo della religione (…) Marx resta tranquillamente nel mondo nebuloso della sua proprietà ad un tempo individuale e sociale e lascia ai suoi adepti di risolvere questo profondo enigma dialettico.”

Infatti il tedesco è costretto a scrivere per giustificare la posizione di Marx: “Ma che cosa è dunque questa spaventosa negazione della negazione che rende così amara la vita di Dühring, e che rappresenta per lui lo stesso delitto imperdonabile rappresentato nel cristianesimo dal peccato contro lo spirito santo? Un processo semplicissimo che si compie dappertutto e giornalmente, che ogni bambino può comprendere, solo che lo si liberi dal gran mistero sotto il quale lo nascondeva la vecchia filosofia idealistica e sotto il quale è interesse di metafisici poco agguerriti dello stampo di Dühring continuare a nasconderlo. (…..). Tutti i popoli civili cominciano con la proprietà comune del suolo. In tutti i popoli che oltrepassano un certo grado primitivo, nel corso dello sviluppo dell’agricoltura, questa proprietà comune del suolo diventa una catena per la produzione. Essa viene soppressa, viene negata, viene trasformata, dopo una serie più o meno lunga di gradi intermedi, in proprietà privata. Ma ad un più elevato grado di sviluppo dell’agricoltura, prodotto dalla stessa proprietà privata del suolo, la proprietà privata diventa, al contrario, una catena per la produzione, caso che si verifica oggi tanto nel piccolo quanto nel grande possesso fondiario. Sorge necessariamente l’esigenza che anch’essa sia negata, riconvertita in bene comune. Ma quest’esigenza non implica il ristabilimento della vecchia proprietà comune primitiva, ma l’instaurazione di una forma molto più elevata, più sviluppata di proprietà comune che ben lungi dal diventare una catena per la produzione, la libererà piuttosto dalle sue pastoie e le permetterà di utilizzare in pieno le moderne scoperte della chimica e le moderne invenzioni della meccanica.

O ancora: la filosofia antica fu un materialismo primitivo, spontaneo. Come tale, essa era incapace di venire in chiaro del rapporto tra pensiero e materia. Ma la necessità di chiarirsi questo rapporto portò ad una dottrina di un’anima separabile dal corpo, quindi all’affermazione dell’immortalità di quest’ultima e finalmente al monoteismo. L’antico materialismo fu dunque negato con l’idealismo. Ma nello sviluppo ulteriore della filosofia anche l’idealismo divenne insostenibile e fu negato col moderno materialismo. Quest’ultimo, la negazione della negazione, non è la semplice restaurazione dell’antico materialismo, ma invece alle durevoli basi di esso aggiunge anche tutto il pensiero contenuto in un bimillenario sviluppo della filosofia e della scienza della natura, nonché il pensiero contenuto in questa stessa storia bimillenaria. Insomma non è più una filosofia, ma una semplice concezione del mondo che non ha da trovare la sua riprova e la sua conferma in una scienza della scienza per sé stante, ma nelle scienze reali. La filosofia è dunque qui “superata”, cioè “insieme sorpassata e mantenuta”, sorpassata quanto alla sua forma, mantenuta quanto al suo contenuto reale. Perciò, dove Dühring vede solo “giuochi di parole”, si trova, considerando più attentamente le cose, un contenuto reale.

Finalmente, perfino la dottrina egualitaria rousseauiana, di cui la dühringiana è solo una cattiva copia falsificata, non viene alla luce senza che la hegeliana negazione della negazione debba far da levatrice, e per giunta quasi venti anni prima della nascita di Hegel. E ben lontana dal sentirne vergogna, ostenta quasi sfarzosamente nella sua prima presentazione il marchio della sua origine dialettica. Nello stato di natura e di selvatichezza gli uomini erano eguali; e poiché Rousseau vede nel linguaggio già una falsificazione dello stato di natura, ha completamente ragione nell’applicare, in tutta la sua estensione, l’eguaglianza degli animali di una specie determinata anche a questi uomini-animali che di recente Haeckel ha classificato, in via ipotetica, come alalì, cioè privi di linguaggio. Ma questi uomini-animali, eguali tra di loro, avevano una qualità che li rendeva superiori agli altri animali: la perfettibilità, l’idoneità ad uno sviluppo ulteriore; e fu questa la causa della disuguaglianza. Nel sorgere della disuguaglianza Rousseau vede dunque un progresso. Ma questo progresso era antagonistico, era ad un tempo un regresso.(…..).

Che cos’è dunque la negazione della negazione? Una legge di sviluppo estremamente generale della natura, della storia e del pensiero e che appunto perciò ha un raggio d’azione e un’importanza estremamente grandi; legge che, come abbiamo visto, si afferma nel mondo animale e vegetale, nella geologia, nella matematica, nella storia, nella filosofia, e alla quale, malgrado ogni lotta e ogni resistenza, anche Dühring, senza saperlo, è obbligato, in qualche modo, ad obbedire. È evidente per se stesso che, riguardo al particolare processo di sviluppo che compie, per es., il chicco di orzo dalla germinazione sino alla morte della pianta che reca la spiga, io non dico assolutamente niente dicendo che è negazione della negazione. Infatti, se affermassi il contrario, poiché il calcolo integrale egualmente è negazione della negazione, affermerei solo l’assurdo che il processo biologico di una spiga di orzo sia calcolo integrale, o anche, ahimè!, socialismo. Ma questo è ciò che i metafisici continuano, nelle scuole, ad attribuire alla dialettica. Se di tutti questi processi io dico che sono negazione della negazione, li comprendo tutti insieme sotto questa unica legge del movimento e precisamente trascuro la particolarità di ogni singolo processo speciale. Ma la dialettica non è niente altro che la scienza delle leggi generali del movimento e dello sviluppo della natura, della società umana e del pensiero.”

Interessante poi notare quale sia il concetto di Libertà che lo stesso autore dice di prendere in prestito dal suo maestro: “Hegel fu il primo a rappresentare in modo giusto il rapporto di libertà e necessità. Per lui la libertà è il riconoscimento della necessità. “Cieca è la necessità solo nella misura in cui non viene compresa.” La libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano per un fine determinato. Ciò vale in riferimento tanto alle leggi della natura esterna, quanto a quelle che regolano l’esistenza fisica e spirituale dell’uomo stesso: due classi di leggi che possiamo separare l’una dall’altra tutt’al più nell’idea, ma non nella realtà. Libertà del volere non significa altro perciò che la capacità di poter decidere con cognizione di causa. Quindi quanto più libero è il giudizio dell’uomo per quel che concerne un determinato punto controverso, tanto maggiore sarà la necessità con cui sarà determinato il contenuto di questo giudizio; mentre l’incertezza poggiante sulla mancanza di conoscenza, che tra molte possibilità di decidere, diverse e contraddittorie, sceglie in modo apparentemente arbitrario, proprio perciò mostra la sua mancanza di libertà, il suo essere determinato da quell’oggetto che precisamente essa doveva dominare. La libertà consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna fondato sulla conoscenza delle necessità naturali: essa è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico. I primi uomini che si separarono dal regno degli animali erano tanto privi di libertà in tutto quello che è essenziale, quanto gli stessi animali, ma ogni progresso verso la civiltà era un passo verso la libertà.”

E nella conclusione di questo trattato, ricolmo di attacchi, sberleffi ed ingiurie, immotivate e ricolme di odio e rancore rispetto a chi aveva osato contraddire le affermazioni spesso oniriche e non dimostrate ed indimostrabili di Marx, che Engels raggiunge l’apice, con un metodo che forse fino ad oggi ha fatto la fortuna del primigenio comunismo e dei suoi epigoni: l’invettiva senza quartiere per avere ragione dell’avversario in qualsiasi modo. Infatti termina il volume con queste sprezzanti parole nei confronti di Dühring ”e quando siamo alla fine del libro, ne sappiamo proprio quanto ne sapevamo prima e siamo costretti a confessare che la “nuova maniera di pensare“, cioè “i risultati e le vedute originali sin dalle fondamenta” e le “idee che creano un sistema” ci hanno certo presentato vari assurdi nuovi ma neanche una riga da cui avremmo potuto imparare qualche cosa. E quest’uomo che decanta le sue arti e le sue merci a suon di timpani e di trombe come il più volgare ciarlatano e dietro alle cui parole non c’è niente, ma proprio assolutamente niente, quest’uomo si permette di chiamar ciarlatani uomini come Fichte, Schelling e Hegel, il più piccolo dei quali è sempre un gigante di fronte a lui. Ciarlatano in effetti, -ma chi?”

Per dirla con le parole del filosofo Armando Plebe13 “per Marx, aggiungo io anche per molti suoi seguaci, Il Capitale non è un libro fra gli altri libri, bensì è il libro che rende inutile tutti gli altri libri”, è pertanto la bibbia del comunista combattente che non può essere confutata o discussa, ma solo applicata e chiunque non lo capisce deve prima essere attaccato, poi umiliato ed infine come vedremo in seguito perseguitato ed eliminato. Il punto essenziale sta tutto in queste parole di un altro marxista, György Lukàcs “il rapporto con Max è la vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare la situazione presente, la propria posizione stessa ed il proprio atteggiamento rispetto adesso.”14

Noi non abbiamo riguardi; non ne attendiamo da voi. Quando verrà il nostro turno, non abbelliremo il terrore15.”

Antonino Sala

1 Friedrich Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, 1880.

2 Henri Claude de Rouvroy conte di Saint-Simon [1760-1825]: socialista utopista francese, profeta dell’industrialismo.

3 François Marie Charles Fourier [1772-1837]: filosofo e scrittore francese. Socialista utopista, progettò colonie comuniste come unità economiche indipendenti.

4 Robert Owen [1771-1858]: socialista utopista inglese. Fautore di un “nuovo mondo etico”, nella sua filanda di New Lanark introdusse per primo la riduzione del tempo di lavoro, un sistema di previdenza contro malattie e vecchiaia, comitati operai consultivi, etc.).

5 Immanuel Kant [1724-1804]: filosofo tedesco. Tentò di giungere alla sintesi tra razionalismo e idealismo. Chiamò il suo sistema: Idealismo trascendentale.

6 Johann Gottlieb Fichte [1762-1814]: filosofo tedesco, discepolo di Kant. Il suo sistema è detto: Idealismo soggettivo.

7 Georg Wilhelm Friedrich Hegel [1770-1831]: filosofo tedesco che influenzò tutto il pensiero europeo. Il suo sistema è detto: Idealismo oggettivo (perché il pensiero è un’azione del reale).

8 Hegel, Scienza della logica, 1812.

9 K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito comunista, 1848.

10 Friedrich Engels, Prefazione all’Anti-Dühring, 1885.

11 Karl Marx, Tesi su Feuerbach, 1845.

12 Giovanni Gentile, La filosofia di Marx, 1899.

13 Armando Plebe, Quello che non ha capito Carlo Marx, 1972.

14 György Lukács, La mia via al marxismo, 1957.

15 Karl Marx, Neue Rheinische Zeitung (La Nuova Gazzetta Renana: Organo di Democrazia), maggio 1849.

 

Marx ed il marxismo: figli legittimi del totalitarismo antiliberale di Hegel. Parte prima.ultima modifica: 2020-12-02T17:20:26+01:00da torreecorona
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