Se vuoi la Pace prepara la Pace…La nuova e terribile guerra del Peloponneso: la storia non insegna nulla?

190122 Ucraina8Scriveva Sigmund Freud in uno scambio epistolare nel 1932 ad Albert Einstein “talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali siano serviti da paravento alle brame di distruzione (…) non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini”. Allora proprio per queste considerazioni nelle crisi militari, come in quella attuale, specialmente in quelle che coinvolgono direttamente le grandi potenze nucleari, sarebbe più accorto ragionare su un diverso approccio sulle modalità di risoluzioni delle stesse.
Da più parti si sente ripetere l’antica locuzione dello scrittore romano Publio Vegezio Renato “se vuoi la pace prepara la guerra” che ribalto in “se vuoi la guerra prepara una pace” che non si fondi sulla giustizia e sulla sicurezza territoriale.
Ancora nel 2022, dopo due terribili guerre mondiali, che hanno insanguinato l’Europa e tante altre parti del mondo, fatte di stragi efferate come la terribile operazione che vide il bombardamento con ordigni atomici di Hiroshima e Nagasaki che causò quasi 400.000 vittime civili in pochi istanti, non ci si rende conto che il crinale su cui ci si pone, quando si sostiene che l’unico modo di fare la pace e quello di organizzare la guerra, è quello della sciagura e dell’annientamento della civiltà e forse anche dell’umanità.
Ritengo aberrante, che dopo simili tragedie, non ci si renda conto che la corsa ad armare ed ad armarsi porti rapidamente ad una elevazione del livello di scontro, che da verbale può diventare molto rapidamente fattuale, con il casus belli dietro l’angolo.
Certamente ci sarà sempre uno stato o un popolo, recentemente quello russo, intenzionato a far valere le proprie ragioni con l’uso spregiudicato della forza, è un dato imprescindibile della natura umana che in alcune nazioni diviene anche culturale, ma proprio per questa consapevolezza bisogna disinnescare le motivazioni che accendono i conflitti e non è fornendo armi letali a questo o a quello, che si salverà il mondo dalla catastrofe ma l’esatto opposto, cioè invitando le parti volontariamente a deporre, anche momentaneamente, le armi.
Sento già coloro i quali sperano nella vittoria sul campo militare, esaltati dai tamburi della battaglia e dai fumi della polvere nera appena esplosa, dire che questo è impossibile ed addirittura velleitario, a loro però obbietto che per primi i popoli che reputiamo civili nella storia, gli antichi greci, dovettero ricredersi sulle previsioni bellicistiche che avevano fatto e dovettero subire dopo le conseguenze imprevedibili di guerre scellerate e fratricide.
Volete un esempio? La guerra del Peloponneso tra Sparta ed Atene, un conflitto che durò all’incirca 27 anni, dal 431 a.C. al 404 a.C. raccontatoci nei dettagli dallo storico Tucidide, e le cui cause lo stesso le riassume così “il motivo più vero, ma meno dichiarato apertamente, penso che fosse il crescere della potenza ateniese e il suo incutere timore ai Lacedemoni, sì da provocare la guerra[1]”. L’arroganza, la demagogia e la politica imperialista di Pericle provocarono a tal punto gli spartani che l’ingresso in guerra fu praticamente ineluttabile, trascinando in una disastrosa avventura Atene e i suoi alleati della Lega delio-attica (le città di Efeso, Mileto, Focea, Alicarnasso, Anfipoli, Olinto, Metone e Troia, le isole di Lesbo, Rodi, Samo, Delo e la penisola Calcidica) contro la Lega Peloponnesiaca guidata da Sparta.
Pericle intanto aveva, con la scusa di una maggiore sicurezza, spostato nella sua città il tesoro della lega che invece era custodito a Delo, ed era costituito dalle oblazioni obbligatorie che le altre poleis erano costrette a versare, e fu poi accusato di avere distratto i fondi dello stesso per i suoi fini. Plutarco[2] ritiene che Pericle era così preoccupato del giudizio imminente contro di lui che fece in modo di impedire ogni ogni tentativo di accordo con Sparta e lo storico tedesco naturalizzato italiano Karl Julius Beloch[3] aggiunse che, pur di proteggere la propria posizione politica, egli abbia scientemente condotto la sua città allo scontro armato.
Come sappiamo Pericle morì della pesta che la sua politica dissennata aveva prodotto in città insieme a molti suoi concittadini, inoltre Atene non solo fu sonoramente sconfitta da Sparta ma perse definitivamente il suo predominio ed il suo ruolo di guida della regione, ma anche la sua forma di governo, la democrazia che si trasformò nel regime dei trenta tiranni.
Ma le conseguenze successive di una guerra così aspra e lunga si fecero sentire su tutta la Grecia e tutte le città, anche quelle vittoriose, caddero sotto il dominio macedone, sia a causa di una progressiva riduzione della popolazione maschile abile, sia per la crisi economica che le colpì visto l’immane costo che avevano affrontato per sostenere il conflitto. Una catastrofe sia per i vinti che per i vincitori: per dirla con il drammaturgo Vincenzo Monti “Se Atene piange, Sparta non ride[4]”.
Questo solo per dire che l’approccio bellicista che vedo proporre nella questione della guerra in Ucraina è assolutamente simile a quello che portò alla fine della libertà in Grecia. Siamo veramente convinti che l’invio di armi di ogni genere nella regione faciliterà la soluzione, o meglio la fine del conflitto, o sarà foriero di ulteriori drammi, che a sentire le ultime dichiarazioni dei vari esponenti delle diplomazie contrapposte, si stanno già mettendo in conto come un’estensione ad ad altre nazioni della guerra? Ed ancora: ammesso che poi la carneficina abbia fine tutti i munizionamenti in mano a chi rimarranno? chi si prenderà la briga di disarmare la popolazione, che intanto dovrà lottare per il pane quotidiano che scarseggerà? e le vendette non saranno all’ordine del giorno come nell’Italia del nord post bellico?
Sono siciliano e i racconti dei vecchi sui fucili e le pistole che girarono dopo l’arrivo degli alleati nel 1943 mi sono ben noti; in più basta leggere i resoconti delle inchieste sulla strage di Portella della Ginestra per capire a chi finirono e che uso ebbero le migliaia di mitragliatrici che erano state lasciate incustodite dagli eserciti dopo l’abbandono dell’isola, per immaginare cosa accadrà quando i riflettori su questa regione saranno spenti per volontà politica o più semplicemente perché l’Ucraina non farà più notizia. Un destino terribile.
Come sia possibile che, dopo migliaia di anni e miliardi di uccisioni, ancora l’uomo pensi che l’unico modo per risolvere le questioni politiche sia l’omicidio? Forse Feud aveva ragione: l’impulso all’autodistruzione è connaturato alla natura umana.
Ritengo però che per volere la pace, ammesso che qualcuno oltre a Papa Francesco ed ad altri capi di stato come Naftali Bennet la voglia, bisogna preparare la pace, con azioni diplomatiche, con una politica di alleanze e di dialogo anche con chi non ci piace e di cui non condividiamo logica e tradizione, prendendo impegni seri, stabili e duraturi che poi si rispettino da ambo le parti vero presupposto come scrive Hume[5] per vivere in tranquillità, disinnescando le mine sul percorso degli uomini di buona volontà prima che deflagrino.
La politica del confronto verbale non può essere solo una ridda di accuse e minacce reciproche, che altro non fa che accelerare i processi dissolutivi. E’ responsabilità, non solo della politica questo cambio di paradigma comunicativo ma di tutta la società cosiddetta civile, perchè in questo tempo troppo facile, mi pare, l’utilizzo di espressioni violente dissennate anche dalle persone più culturalmente attrezzate.
Ho comunque ben presente che in molti ritengono comunque che la soluzione militare sul campo sia preferibile a quella diplomatica, e che in nome di questo sono pronti a difendere le peggiori atrocità perché “il fine giustifica il mezzo”. Per esempio l’Unità, organo ufficiale dell’allora Partito Comunista Italiano il 10 agosto 1945, all’indomani dell’utilizzo della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, pubblicò un articolo dal titolo “Al servizio della civiltà” che così recitava “le notizie che l’Aviazione statunitense ha usato la bomba atomica sono state accolte in certi ambienti con senso di panico e con parole di riprovazione. Questo ci sembra uno strano complesso psicologico, una formale obbedienza a un astratto umanitarismo” anche persino Stalin rimase sorpreso dell’utilizzo di un mezzo tanto terrificante e distruttivo.
Le armi di distruzioni di massa da quel momento divennero uno strumento di deterrenza e di pressione politica, che Truman aveva usato per primo ed ultimo, speriamo, nella storia dell’umanità per determinare i successivi equilibri di forze, all’indomani della sconfitta dell’Asse.
Oggi però la situazione è paradossalmente molto più complessa e pericolosa di quella del 1945, perché questi strumenti mortiferi sono disseminati in tutto il globo, e a disposizione di regimi che a molti di noi fanno inorridire per la loro concezione del potere pubblico. Persino il confronto con la Resistenza italiana è quanto meno improprio, per il semplice fatto che quella stagione fu sostenuta dagli alleati direttamente sia con mezzi militari sia con i propri eserciti che erano in guerra da anni contro la Germania nazista e quindi il volere piegare la storia alterando il passato secondo le convenienze del presente è un esercizio dialettico che conosciamo benissimo, ma che potrebbe voler dire che prima o poi diventeremo dei belligeranti diretti contro la Federazione Russa.
Mi chiedo cosa accadrebbe a tutte le parti in causa, se questo conflitto regionale divenisse globale e a tempo indeterminato, e se infine a pace firmata, tutti i contraenti si ritrovassero estenuati, ridotti di numero e flagellati da crisi alimentari, sanitarie ed economiche?
Gli ordierni macedoni questa volta c’è il rischio concreto che abbiano gli occhi a mandorla e conoscano meglio di noi Sun Tzu e che il loro “Alessandro” faccia sventolare la bandiera rossa magari sui tetti sia dei parlamenti dell’occidente che della duma russa.
E allora “se vogliamo la pace prepariamo la pace” altrimenti vorrebbe dire che la storia non ci ha insegnato nulla e che l’uomo è solo un animale brutale, autolesionista ed indegno di qualsiasi benevolenza celeste.
Antonino Sala
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[1] Tucidide, La guerra del Peloponneso, I, 23, 6
[2] Plutarco, Pericle, XXXII.

[3] K.J. Beloch, Griechische Geschichte, Lipsia, 1894, pp. 19-22.
[4] In verità la citazione esatta tratta dall’Aristodemo è “Se Messenia piange, Sparta non ride”, ma è di uso molto comune quella che riporto nel testo.
[5] David Hume, Trattato sulla natura umana, terzo libro, 1740.

Se vuoi la Pace prepara la Pace…La nuova e terribile guerra del Peloponneso: la storia non insegna nulla?ultima modifica: 2022-04-27T07:53:04+02:00da torreecorona
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