Terza via blairiana di destra? Sovrana confusione tra i sovranisti!

La recente nomina di Giorgia Meloni come presidente del ECR Party, il partito dei conservatori e riformisti europei, alla quale faccio i miei auguri per il ruolo che ricoprirà, apre dopo le sue controverse dichiarazioni una seria riflessione sulla confusione che regna sovrana tra i sovranisti conservatori o riformisti che siano. Infatti la neo presidente ha subito dichiarato in un intervista a la Stampa “io rappresento la terza via blairiana di destra”.

A cosa si riferisce? Esiste una terza via blairiana di destra? Alla socializzazione moderata della società proposta dalla sinistra degli anni 90? Sarà stata attratta dalle idee della Rerum Novarum di Papa Leone XIII del 1891? Questi interrogativi nascono spontanei perché è evidente che un esponente di un partito che si dice erede della tradizione politica della destra storica identitaria pre e post fascista, dovrebbe avere ben chiaro che l’espressione utilizzata da lei “terza via blairiana di destra” è un ossimoro, forse utile per prendere qualche titolo di giornali ma assolutamente disorientante per tutto il resto.

Ma andiamo con ordine: atteso che personalmente credo che già sia una contraddizione in termini la nomazione del partito europeo “Conservatori e riformisti” di cui è stata eletta presidente, in quanto il conservatorismo ed il riformismo non sono conciliabili ontologicamente, filosoficamente e politicamente.

Il riformismo infatti nasce come via più moderata rispetto al comunismo marxista, con l’intenzione di cambiare gradualmente sia il sistema capitalistico, ritenuto comunque ingiusto, sia il movimento rivoluzionario ritenuto troppo estremo per raggiungere risultati concreti.

Si definiscono riformisti i partiti di sinistra socialdemocratici e socialisti (nonché alcuni partiti vicini al liberalismo sociale come il partito Democratico americano e quello italiano) che si propongono di correggere (con vari strumenti come le proposte di legge in parlamento e i referendum) i difetti dell’economia capitalista o di superare il capitalismo come nel caso del socialismo.

Nella storia italiana della fine del XIX secolo il riformismo ha influenzato l’evoluzione del movimento socialista, di cui ha rappresentato la corrente più moderata, e i cui sostenitori ritenevano possibile una collaborazione fra i ceti proletari e la borghesia nell’ambito delle istituzioni parlamentari. Leonida Bissolati ed Ivanoe Bonomi vennero espulsi dal Partito Socialista per l’appoggio dato al governo Giolitti in occasione della guerra italo-turca, fondando il Partito Socialista Riformista.

Fra gli esponenti più significativi del riformismo italiano del novecento ricordo Filippo Turati, Claudio Treves, Giacomo Matteotti, Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli, Giuseppe Saragat, Bettino Craxi, Claudio Martelli, Gianni De Michelis. Nella seconda metà degli anni ’50, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria e la fine dell’alleanza con il PCI, lo stesso PSI progressivamente si aprì alla linea riformista della socialdemocrazia europea, dando vita ai governi di centro-sinistra insieme alla DC di Aldo Moro e Amintore Fanfani, al PSDI e al PRI.

Sotto la guida di Bettino Craxi il PSI completò la propria maturazione in senso riformista aderendo all’idea di un socialismo liberale e tricolore, così negli anni ’80 un socialista, Bettino Craxi, assunse l’incarico di Presidente del Consiglio, inaugurando i governi del pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI).

Detto questo se passiamo in rassegna cosa vuol dire conservatorismo ci troviamo difronte all’esatto opposto, scriveva François-René de Chateaubriand ideatore del termine stesso, il “conservatore” è colui che sostiene la religione, monarchia, libertà, la Carta e la gente rispettabile. E’ conservatore colui che in una società in continuo cambiamento come la nostra ha dei solidi valori di ancoraggio, la possibilità di aggrapparsi orgogliosamente a quello che non muta. Egli è colui che non accetta i presupposti radicali della rivoluzione francese, avversando le idee utopistiche di società perfette, credono nella libertà individuale e nel mercato, sono intransigenti in tema di ordine sociale e legalità e nutrono un particolare rispetto per tradizione, famiglia e proprietà privata.

Il fondatore del conservatorismo inglese fu Edmund Burke, che ne sosteneva uno meno intransigente rispetto a quello di Chateubriand. Robert Arthur Talbot Gascoyne-Cecil, III marchese di Salisbury esponente del del Partito Conservatore e Primo ministro del Regno Unito per tre volte soleva dire “Il conservatorismo consiste nell’impedire alle cose di accadere finché non siano prive di pericoli”.

Il conservatore cerca quindi di conciliare l’ordine preesistente (come la monarchia e, in un certo senso, anche l’aristocrazia) con le novità portate dalla rivoluzione francese (ad esempio diritto di voto e diritti dell’uomo), mantenendo un equilibrio che può essere minacciato dai reazionari (volti cioè a restaurare il vecchio ordine) quanto dai rivoluzionari (che pretendevano di migliorare le condizioni del popolo con mezzi radicali e violenti).

Dalla metà del XX secolo i conservatori si sono caratterizzati per la loro opposizione ad aborto, matrimoni omosessuali, eutanasia e droghe, così come per il supporto al libero mercato, ai tagli fiscali e alla fiducia nella proprietà privata.

In definitiva i caratteri tipici odierni sono famiglia, patriottismo, libero mercato, sicurezza, giustizia sociale, legalità, meritocrazia, sussidiarietà, tradizione.

Nel solco del conservatorismo italiano vanno inseriti i liberali di Malagodi, i monarchici di Covelli e una parte dei missini di Almirante, i post missini di Democrazia Nazionale guidati da Enesto de Marzio e poi successivamente anche Gianfranco Fini con la sua Alleanza Nazionale che rappresentò un tentativo di coniugare istanze tradizional conservatrici con quelle liberal, le tesi di Fiuggi ne sono un esempio. Ma un ragionamento più approfondito lo merita Democrazia Nazionale, nata come scissione del Movimento Sociale Italiano ma naufragata nelle urne. Essa fu il primo tentativo di portare la destra post fascista al governo dell’Italia insieme alla Democrazia Cristiana.

Scrive Gianni Scipione Rossi a commento del libro di Giuseppe Parlato, “La Fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale”, Luni, Milano 2017, in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX “con la morte prematura del segretario (del MSI Arturo Michelini), l’anno successivo, la guida del partito fu affidata – e Parlato nel ricostruisce le ragioni – a Giorgio Almirante, che riuscì, grazie alla crisi del centro sinistra e alla battaglia parlamentare contro l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, a imprimere una svolta movimentista, sia pure con elementi di ambiguità culturale e programmatica che costituirono il brodo di coltura degli avvenimenti successivi.

Nelle vicende interne al Msi, Almirante rappresentava le suggestioni identitarie del neofascismo, opposte alla prospettiva di una storicizzazione del regime messa in campo – pur con accenti diversi – da esponenti del partito quali Ernesto De Marzio, Nino Tripodi, Pino Romualdi. Con il ritorno alla segreteria, Almirante tentò di gestire le diverse componenti proponendo da un lato il Msi come “alternativa al sistema” partitocratico; dall’altro come fulcro di una alleanza dei moderati anticomunisti, sulla scia della “grande destra” micheliniana. Da qui la nascita della Destra Nazionale, aperta a personalita’ estranee al neofascismo, che tuttavia nelle elezioni politiche del 1972 – a causa della capacità della Democrazia Cristiana di recuperare il “voto utile” in senso anticomunista – non riuscì a conquistare un consenso tale da renderla politicamente indispensabile.

In fondo da quella vittoria “dimezzata” – in un’Italia spazzata dal terrorismo – nasce la crisi interna del partito che porterà alla sci ssione del 1976, paradossalmente grazie all’intuizione di Almirante di ampliare il progetto della Destra Nazionale accelerandolo con la più ambiziosa Costituente di Destra, che servì agli scissionisti come strumento regolamentare per la costituzione di gruppi parlamentari autonomi.”

Dice Marcello Veneziani di Democrazia Nazionale nella prefazione a “I Percorsi della Destra”, libro uscito nel 2003 per Controcorrente, nel quale Massimo Anderson, intervistato da Gennaro Ruggiero, racconta la storia della destra, i suoi percorsi, la politica e la cultura, dal secondo dopoguerra ad oggi “avevano ragione loro, i demonazionali, a giudicare negativamente il ricorso alla retorica dei comizi e alla liturgia dei nostalgismi di parata, che poi copriva un maniacale elettoralismo, e a ritenere indispensabile per la destra ripensarsi attraverso le categorie della politica, il confronto libero e civile con gli altri e con il dissenso interno. Di Democrazia Nazionale, probabilmente, furono sbagliati i tempi e i modi; anche se, bisogna dirlo, il meglio della classe dirigente andò via dal partito. Però era giusta l’intuizione che rileggo nelle parole di Cerullo e nell’intervista di Anderson a Ruggiero di far nascere una destra in grado di incidere nella realtà italiana e di non vedere fiction sentimentale per scopi elettorali. Legittima la loro rivendicazione di paternità rispetto ad Alleanza Nazionale; a Fiuggi loro ci andarono quasi vent’anni prima.”

Alleanza Nazionale e il suo primo ed ultimo presidente Gianfranco Fini, fu l’esperimento successivo e riuscito, di portare la destra post-fascista al governo dell’Italia. Importante fu il Congresso di Fiuggi del 27 gennaio 1995 con il quale si scioglieva definitivamente il MSI e nasceva la nuova formazione politica su base più aperta alla società e senza incapacitanti nostalgie del passato e con tesi ben strutturate sulla tradizione delle destra europea. Determinanti per il prosieguo del cammino di AN furono la I conferenza programmatica di Verona del 27, 28 febbraio e 1 marzo ’98 e la II conferenza programmatica di Napoli del 23 e 25 febbraio 2001.

Le tesi di Napoli furono attenzionate anche a sinistra tanto che Marialba Pileggi, militante e dirigente del PCI, scrive su Critica marxista e sul Manfesto “Il programma economico di Napoli rappresenta la novità di An. Si tratta di una vera e propria trasformazione : An per la prima volta accetta totalmente globalizzazione e liberismo. L’Italia globale diviene simbolo di una nuova coscienza nazionale finalizzata alla competizione di mercato. Fiuggi e Verona si fondono in un partito di Programma che ha al suo centro la cultura dell’impresa come valore e risorsa ( e solo al suo interno i diritti dei lavoratori) e la ridefinizione geopolitica del Mezzogiorno dai margini al centro dello scambio economico. Sono questi alcuni titoli per il rilancio dell’Italia tra le grandi potenze economiche. Una ambizione sostenuta dalla pratica dell’interclassismo, dalla fedeltà ai principi della tradizione di popolo di An, e da un senso dello Stato del quale si intende ridefinire il principio di sovranità. “Se uno Stato pretende di tagliare fuori dalla propria storia la globalizzazione essa lo taglierà fuori dallo Stato, se uno Stato avrà un approccio di esclusione, rimarrà esso stesso escluso dal percorso dell’avventura della civiltà.” Accettazione totale del liberismo non significa in alcun modo definizione e progetto di una democrazia politica orientata a contenere e superare le ineguaglianze sociali e civili che derivano dal primato del mercato e dai suoi fallimenti. Al contrario Fini oppone alle sfide sociali e democratiche del liberismo decisionismo intransigenza sui valori : la diffidenza nei confronti del conflitto sociale ( priorità del capitale, la spinta alle privatizzazioni, la trasformazione dello statuto dei lavoratori in Statuto del lavoro, istituzionalizzazione del sindacato etc.); la sostituzione dell’universalismo (dal Welfare State al Welfare di comunità) con l’organicismo comunitario come unica fonte di diritti sociali; l’assunzione nella forma più intollerante dei valori dell’integralismo cattolico (sacralità della vita, immutabilità, della famiglia tradizionale, piena sintonia tra scuola e convinzioni morali e religiose, discriminazione dell’omosessualità, proibizionismo, etc.). In altre parole, di fronte alla realtà della globalizzazione liberista Fini abbandona un patrimonio morto e irrecuperabile, l’eredità statalista, protezionista, centralista, corporativa del tradizionale pensiero economico nazionalista e fascista solo per offrire le soluzioni culturali, istituzionali, politiche del comunitarismo organicistico e autoritario delle Destre europee attuali.

An dunque è davvero un attore politico moderno in continua trasformazione, e per questa ragione va tenuto sotto osservazione. I suoi riti di passaggio ci dicono che non evolve secondo una destra tradizionale, ma in direzione di una destra europea, adeguatamente attrezzata e pronta a rispondere alle trasformazioni contemporanee della relazione tra economia e politica, tra capitalismo e democrazia nelle forme proprie della “rivoluzione conservatrice”. Ben lontana dall’essere costituzionalizzata dalla palingenesi di Fiuggi, An spinge il senso comune diffuso e gli orientamenti politici delle sue aree di consenso popolare e giovanile a separarsi da un progetto democratico capace di concepire le sfide del presente e , per queste ragioni, essa costituisce uno degli elementi di fragilità della democrazia italiana.” Questo a testimoniare come la destra avesse al suo interno energie culturali non indifferenti, capaci di esaltare i propri sostenitori e di preoccupare i propri avversari. Certamente l’articolo della Pileggi non fu scritto per lusingare Fini e i dirigenti di An, anzi per mettere in guardia un certa sinistra del pericolo che stavano correndo: una destra europea, di governo e solo di piazza, non facile da demonizzare.

Di tutt’altra natura la telefonata di felicitazioni a Giorgia Meloni da parte di Gentiloni, che a ben vedere, dopo la sua esternazione sulla terza via blauriana e sul Recovery Found, ha il sapore amaro di un “ben venuta tra di noi”. Vecchio trucco della sinistra: prima la lusinga, poi il colpo giusto al centro destra in quanto tale, vedi gli elogi pubblici a Gianfranco Fini in funzione anti Berlusconi e poi la mazzata a tutta la coalizione che da quel momento non ha più potuto governare; ora sembra il turno di Giorgia Meloni questa volta in contrapposizione a Matteo Salvini, reputato troppo forte elettoralmente e troppo politicamente scorretto per sedersi con i gentleman progressisti di Capalbio.

Attenta presidente “Timeo danaos dona ferentes.”

Il terzo tentativo di rifondare una destra capace di stare ai posti di comando è Fratelli d’Italia, nata direttamente da Alleanza Nazionale, di cui ha ereditato simbolo e una parte di classe dirigente, purtroppo senza le tesi di Fiuggi, Verona e Napoli. E’ animata sembra solo da un patriottismo, tempo addietro avremmo detto da parata oggi da social network, e da una leader che si mostra sorridente accanto ad un vessillo tricolore ogni piè sospinto magari augurando buona domenica agli amici virtuali di facebook con in mano una tazzina di caffè, e dopo avere evocato la famosa terza via di Blair. Condivido però la riflessione di Marcello Veneziani sulla Meloni “al di là della consacrazione europea, prima donna italiana leader di un gruppo europeo, la Meloni è in crescita politico-elettorale costante. Grandi risultati, merito a mio parere di due fattori: il primo, assoluto, è l’efficacia di Giorgia come leader, la sua linearità, la sua coerenza, la sua maggior tenuta politica dentro e fuori del centro-destra, il suo essere donna ma come si dice “cazzuta”. Il secondo, sommerso, è il rifugio degli elettori in un’identità politica storicamente solida benché controversa, venuta da una storia, in un paesaggio di parvenu e mutanti, trasformisti e nullivendoli…il problema del partito della Meloni è che la Sorella d’Italia è figlia unica. Ma per un partito così cresciuto, così lanciato, scarsa è la sua classe dirigente, scarsi i canali di accesso e di selezione, scarsa la sua capacità di intercettare e candidare figure venute da altri mondi e dalla mitica “società civile”. E soprattutto è introvabile “il mondo della destra”. Come si esprime un cittadino di destra, oltre lo sfogatoio dei social; in cosa si riconosce, dove si riflette il suo modo di pensare? Dove trova i suoi ambiti di riferimento, dove ritrova il suo mondo, nella società, nella cultura, nell’economia, nel volontariato, nelle associazioni, chi intravede di amico nella pubblica amministrazione, tra le figure pubbliche, nella fiction e nella vita quotidiana? Dico questo perché la malridotta sinistra non avrà un leader ma solo un fratello di fiction (altro che fratello d’Italia), vale a dire il commissario Montalbano; non avrà una linea politica credibile, avrà un alleato imbarazzante e un premier comprato usato su e-Bay, ma un mondo vasto ce l’ha e ha ramificazioni nei poteri diffusi e nella casta dirigente del Paese. Invece il cittadino che la pensa come la Meloni non ha riferimenti di alcun tipo, se non le opinioni della Meloni.” E’ questo avviene, aggiungo io, per alcune ragioni: la prima il suo mondo è troppo chiuso, purtroppo per lei, in un settarismo infantilistico da ex Fronte della Gioventù, dove non si discutono tesi politiche o visioni del mondo ma si consumano piccole faide interne per qualche spazio politico in più ed ogni nuovo ingresso viene visto e trattato con sospetto tant’è che non si conoscono altri volti di FdI oltre il suo che non siano Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Francesco Lollobrigida (suo cognato); la seconda, al livello centrale gli interlocutori non sembrano all’altezza dei compiti che dicono di volersi accollare e pertanto anche i ceti intellettuali e produttivi si guardano bene dall’avvicinarsi anche se magari nel segreto dell’urna la votano; terzo Fratelli d’Italia non ha una piattaforma programmatica definita, non inutilmente retorica, seria ed attuabile sulla scuola e l’università, la cultura, l’economia, il lavoro, l’assetto istituzionale e quant’altro sia capace di convincere pienamente.

Detto questo per capire di cosa parla la presidente del ECR Party bisogna chiarire cosa è stata questa terza via britannica. Essa si riferisce ad alcune posizioni politiche impegnate nell’elaborazione di una posizione intermedia tra destra e sinistra, al fine di realizzare un impossibile, a mio avviso, compromesso tra le politiche economiche liberiste e quelle ispirate al socialismo; tra le politiche economiche di stampo keynesiano, che avevano precedentemente generato dubbi a causa di un eccessivo interventismo da parte dello Stato, e quelle neoliberiste sviluppatesi a partire dagli anni ottanta, in una fase ormai avviata alla globalizzazione, combinandole fra loro e sviluppate da alcuni partiti socialdemocratici e della sinistra liberale.

Lo sviluppo delle idee della terza via avvenne grazie al supporto di intellettuali come Anthony Giddens (rettore della prestigiosa London School of Economics), David Marquand, Geoff Mulgan, David Held e David Goodhart. Giddens afferma che la terza via rifiuta la concezione tradizionale del socialismo, ma accetta altresì quella presentata da Anthony Crosland come una dottrina etica che vede i governi socialdemocratici come acquisitori di un socialismo etico autosufficiente, e sul superamento della fase marxista nella lotta per l’abolizione del capitalismo.

In Italia la terza via, sotto vari nomi, è stata proposta sia da partiti centristi classici di stampo post-democristiano sia da partiti laici come lo storico Partito Socialista Italiano nella sua fase finale. Oggi diversi politici si rifanno a questa corrente sia nel Partito Democratico che nel Movimento 5 Stelle (La sera del 12 ottobre 2019, durante la kermesse Italia 5 Stelle svoltasi a Napoli, Luigi Di Maio, allora capo politico del M5S, affermò di essere un sostenitore della terza via), come anche il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, che in un intervista rilasciata a Claudio Sardo il 22 novembre 2012 ebbe a dichiarare “il nostro orizzonte è una Terza Via tra la spirale austerità-recessione e la vecchia ricetta keynesiana” Penso però che Blair, Clinton e con loro Schroeder, Prodi, Jospin, D’Alema diederono allora un nuovo indirizzo alla sinistra mondiale. La storia non si ripete, anche perché in quel tentativo ci furono cose buone ed errori. Ma penso che dovremmo provare una nuova Terza Via.”

La differenza con la Terza via italiana e fascista, ha consistito nella ricerca di un’ alternativa, piuttosto che di una conciliazione, tra comunismo e capitalismo attraverso il corporativismo: avendo come orizzonte l’autarchia, il protezionismo e la sovranità monetaria.

Allora perché usare una locuzione così, ossimorica, controversa ed ambigua come terza via “blairiana”? Cosa ha in comune la destra italiana con queste posizioni che fanno riferimento alla sinistra mondialista e alla socialdemocrazia? Secondo me nulla, perché sono semplicemente antitetiche ed opposte. Solo per piacere a sinistra o come sostiene Massimo Weilbacher “esempio di sudditanza al bon ton politicamente corretto e di subalternità culturale al verbo dominante”?

Se poi andiamo alla politica blaireina credo che il quadro si faccia più confuso di quanto non sia fino ad ora. Infatti Tony Blair è stato propugnatore di una politica progressista in termini assoluti su famiglia, aborto, droga, interventismo militare, stato sociale e tante altre regressioni. E’ stato a fianco di Bill Clinton nel tentativo di creare il centro sinistra mondiale, trascinando verso il baratro progressista tutte le nazioni su cui potevano esercitare la loro influenza come l’Italia, e lo è stato anche in tutte le guerre scatenate in quegli anni, dal Kosovo all’Iraq, alla faccia della sinistra pacifista.

In Italia ha poi trovato grandi sostegni a sinistra con Walter Veltroni che fu persino oratore ufficiale al congresso laburista a Blackpool il 2 ottobre di ventiquattro anni fa, “l’ unico straniero (Veltroni) chiamato alla tribuna nei cinque giorni di discussione. Non è stato un saluto, ma un vero e proprio discorso dedicato alla sinistra del 2000…..La sinistra che conquista il centro, che è la chiave del progetto politico di Blair (e forse anche la “forse” destra di FdI?)” scrisse Maurizio Ricci su Repubblica il 3 ottobre 1996 e Veltroni disse parlando di Blair “è un uomo della nuova sinistra perché è capace di ascoltare, è flessibile nelle soluzioni, ma c’ è in lui una radicalità di valori, cioè convincimenti molto profondi” (ovviamente di sinistra).

Cosa c’entra allora la sinistra laburista evocata dalla Meloni e l’autentica destra? Cosa hanno in comune? Ripeto nulla!

Purtroppo questo è un vecchio vizio di una certa destra disordinata e confusionaria sempre alla pesca delle occasioni, un modo più o meno mediatico di far parlare di sé quello di dire delle cose che all’uditorio di sinistra sembrano più educate e quindi più politicamente accettabili, ma solo in apparenza.

Quel che è peggio e che questo atteggiamento avvelena i pozzi a cui si abbevereranno le future generazioni che a loro volta causeranno altri errori in un loop senza termine di cui purtroppo è vittima, spero, inconsapevolmente anche la presidente di Fratelli d’Italia; significa inquinare il terreno su cui crescono gli alberi dai frutti pessimi che ben conosciamo, come quando Almirante nominò presidente del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (movimento universitario dei giovani di destra) e poi responsabile del settore cultura del MSI il filosofo marxista Armando Plebe che si autodefiniva un illuminista scettico sostenitore d’un anarchismo intellettuale, il risultato? Gli errori di un sincretismo politico ti tal genere si perpetuarono nelle altre generazioni fino ad arrivare a noi. Un episodio raccontato dallo stesso Plebe in un suo libro è significativo: durante la campagna contro il divorzio aveva ricevuto una telefonata dal segretario missino in cui gli chiedeva di scrivere un libretto sull’argomento, chiuso il telefono richiamò Almirante chiedendogli se lo doveva elaborare pro o contro. Sta tutto qui! la cultura politica non si inventa, fortunatamente.

Altro esempio di confusione a destra, ma più recente? La proposta di introdurre un’ora di religione musulmana facoltativa e alternativa a quella cattolica a firma di Adolfo Urso, viceministro allo Sviluppo economico in quota An del governo Berlusconi ed oggi senatore del partito della Meloni. Ma poi perché solo un ora di islam? perché discriminare la moltitudini di religioni e credenze che sono presenti sul territorio italiano? perché non un ritorno all’antica religione dei Quiriti o fare una mezzora di Hare Krishna o di scintoismo o di qualsiasi altra cosa che assomigli ad un culto, visto che Urso ci propone una società amorfa e privata delle proprie radici? La Meloni non è per il presepe e il Crocifisso nelle scuole, anche se vengono trattati non come esperienza spirituale ma come arredi, o al massimo come elementi della tradizione popolare, un po’ come un piatto tipico della gastronomia locale “vai in Italia? Mangia la pizza a Napoli e le arancine a Palermo…vi immaginate voi che rivolta ci sarebbe se le dovessero abolire per legge e sostituirle con il cuscus o con il kebab?

Per i cantori del conservator-riformismo europeo quali sono gli elementi spirituali da salvaguardare della Tradizione Italiana dalla corruzione, contaminazione direbbero Blair & co., secondo questi ideologi? E poi a quel linea conservatrice i Fratelli di Giorgia fanno riferimento? A quello risorgimentale di Cavour e Minghetti? A quello cattolico? A quello liberale? Verso dove vanno, al seguito di Trump su posizioni antiabortiste e prolife? E così di seguito. Francamente non si capisce.

Purtroppo a queste domande si potrebbe rispondere solo, come ho già scritto, con una grande assemblea programmatica che abbia come relatori le migliori intelligenze italiane in svariati settori, dalla filosofia all’economia, che abbiamo però un autentico orientamento culturale tradizional conservatore, e dove i leader e i loro guru della comunicazione, dovrebbero solo ascoltare nel loro interesse e in quello delle future generazioni, visto che di fronte a loro si agita comunque e sempre lo stesso spettro della rivoluzione e dell’abile sinistra che è presente e viva nel corpo sociale del popolo e di volta in volta, grazie alle sue scuole di pensiero, riesce a mascherarsi, a seconda dei casi, di pacifismo, egualitarismo, altruismo, femminismo, ed altri “ismi” che vi lascio immaginare. I centri di formazione della classe dirigente hanno fatto e faranno la differenza sia in guerra che in pace.

Per parte mia continuerò a proporre analisi e spunti programmatici non ideologici che possano essere utili al dibattito intorno al modello di società e cultura per l’Italia di oggi e di domani.

“Se la strategia è sbagliata, la situazione non migliora aumentando i mezzi e le truppe.“ Carl von Clausewitz, “Della Guerra”.

Antonino Sala

Terza via blairiana di destra? Sovrana confusione tra i sovranisti!ultima modifica: 2020-10-03T09:58:46+02:00da torreecorona
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