Considerazioni sulla guerra per una “competizione parallela”

Considerazioni sulla guerra per una “competizione parallela”.

L’etimo della parola “guerra” molti studiosi della materia lo fanno risalire a quello di provenienza germanico/longobardo “werra” che ha un’accezione ben diversa da quella latino di “bellum”. Infatti per i popoli barbarici significava più uno scontro disordinato, una baruffa o una mischia, a differenza del significato che i romani davano a “bellum” cioè di combattimento ordinato.
Noi occidentali avevamo relegato ai libri di storia la possibilità di una guerra in Europa, sia a est che a ovest, avevamo rimosso dalla nostra prospettiva esistenziale la possibilità di dovere combattere per la nostra libertà, preparandoci ad uccidere il nemico alle porte, proprio perchè essendo i discendenti di quella classicità romana pensavamo che la “guerra” fosse più un “Bellum”, in cui si affrontano ordinatamente eserciti regolari, anche in maniera cruenta, senza il coinvolgimento diretto dei civili, che di un tratto divengono sia obiettivi che milizie da impiegare negli scontri come scudi o come soldati.
Inconsciamente speravamo che fossero tramontati i tempi degli assedi sanguinari alle città, dei carri armati che non si fermano difronte a persone inermi e dei missili terra aria lanciati contro ospedali o edifici residenziali.
Credevamo impossibile che si passasse da un escalation verbale di tipo diplomatico a quello feroce delle armi in pochi giorni, fino alla minaccia di utilizzo di armi nucleari.
Eravamo degli illusi!
Il conflitto in generale non è possibile eliminarlo dalla prospettiva umano, perché la nostra condizione esistenziale è quella della scarsità di mezzi e di tempo e nessun regime politico, per quanto possa fare, potrà mai eliminarlo, lo dimostrano i fallimenti di tutti i regimi ad economia pianificata come quello nazista e quello comunista. L’unica maniera per affrontare la scarsità di risorse è quella dello scambio volontario, la libera cooperazione tra gli uomini e le nazioni, ogni altro sistema contempla in sé la coercizione e la restrizione delle libertà individuali. A tutto questo si somma la paura e l’incertezza del futuro, la negazione dell’evidenza fino al rifiuto delle questioni.
Ed infatti anche di fronte agli allarmi lanciati dai servizi di sicurezza statunitensi, che ci avvisavano dell’imminente attacco della Russia all’Ucraina non ci abbiamo voluto credere bollandole in qualche caso come esagerazioni o propaganda americana (purtroppo l’antiatlantismo di alcune frange non smette mai di operare), avendo da tempo pensato di potere rinunciare (unilateralmente però) all’utilizzo della guerra come metodo di risoluzione dei problemi politici (certamente un nobile intento) tra le nazioni civili.
Purtroppo abbiamo difronte un interlocutore orientale e euroasiatico che sembra non condividere per niente i nostri presupposti fatti di libertà, pacifica convivenza e prosperità.
In questi giorni si confrontano due diverse visioni del mondo, quella delle democrazie liberali e quella dei sistemi assolutistici e/o totalitari. La prima fondata sul diritto e sul governo limitato nata nell’antica Atene, cresciuta a Roma, sviluppata nell’Europa del medioevo cristiano con le libertà concrete, codificata nel Regno di Gran Bretagna del seicento, concretizzata negli Stati Uniti con la costituzione del 1787[1] ed arrivata fino a noi attraverso le varie costituzioni di stampo liberali come lo Statuto del Regno d’Italia.
La seconda di matrice autoritaria e assolutista, poggiante sul principio che il potere del governo, di uno Zar o di un presidente di repubbliche “popolari” sia senza alcun limite. Il presupposto di quest’ultima è che la democrazia è o la dittatura della maggioranza o di chi in quel momento sta al timone dello stato, e che si possa decidere della vita di milioni di persone perché si incarna il “punto di vista privilegiato sul mondo”[2], lo Spirito a cavallo di Hegel, che autorizza l’autorità costituita a commettere qualsiasi atto senza tenere in considerazione i diritti di nessuno in nome di un presunto bene comune superiore. In questo sistema poi per corollario si scambia il diritto con la legislazione. Purtroppo una parte considerevole del mondo non ha conosciuto altro come sistema di governo, è il caso della Russia e della Cina.
Il caso del popolo russo è emblematico: infatti è passato dall’autocrazia[3] degli zar nata ai tempi del matrimonio di Sofia Paleologa ultima erede dell’Impero d’Oriente e Ivan III “l’unificatore di tutte le russie”, alla ben più spietata dittatura del proletariato dell’Unione sovietica di Lenin e Stalin, alle repressioni a colpi di cannone volute dal presidente russo Boris El’cin contro il parlamento legittimamente eletto durante la crisi costituzionale del 1993, fino ai vari interventi militari in diverse occasioni del suo successore Vladimir Putin. Sostanzialmente i russi non hanno mai conosciuto un governo di stampo liberale sul modello occidentale e quindi in tanti ritengono che l’unica maniera di gestire la “cosa pubblica” sia la loro anche con l’uso dei carri armati. Quel che poi questo sistema sottende è che la modifica dell’assetto di potere debba essere affidato agli stessi metodi “popolari”, sovietici, socialisti, comunisti, leninisti, stalinisti etc.. attuati nei lunghi secoli di storia che li caratterizza, non stupisce oggi pertanto l’assoluta indifferenza per il valore della vita umana e per quello che noi chiamiamo diritto.
Un altro elemento tipico di questi regimi, è l’uso a fini politici che gli zar, come anche alcuni loro coevi sovrani occidentali, ed oggi gli attuali autocrati al potere in Russia hanno fatto della religione, ritenendola funzionale al mantenimento del potere dell’élite al governo. Infatti troppo flebile, mi pare, il messaggio del Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill, che non condanna l’aggressione della Russia all’Ucraina ma invita “tutte le parti in conflitto a fare tutto il possibile per evitare vittime civili”, per un successore degli apostoli di Cristo.
Sicuramente in nostro sistema ha molte criticità, ma almeno in tesi rifiuta apertamente l’uso della forza come metodo per risolvere i problemi di natura politica, per far questo abbiamo preferito utilizzare l’economia[4], ed infatti la prima e spero unica misura che le potenze dell’alleanza atlantica hanno messo in campo sono state le sanzioni finanziarie, che forse hanno fatto sorridere, per ora, Putin e Lavrov, ma sono il segno della nostra diversità. Ricordo che a Yalta Stalin di fronte a chi gli faceva presente le posizioni di Pio XII sul futuro europeo rispondeva “ma quante divisioni ha il papa?” volendo sottolineare quanto contassero nella trattativa per lui solo gli eserciti per determinare i fatti storici.
D’altronde nei regimi autoritari la libertà è compressa e non esiste nemmeno il libero mercato, così come in quelli totalitari di stampo socialista la proprietà privata, che permette la circolazione non solo delle merci ma anche delle idee, necessarie allo sviluppo organico e pacifico dell’uomo.
E così il principio di sovranità[5] viene trasmutato in quello di tirannia del popolo, dei partiti, dei tecnici o di varie oligarchie che si auto legittimano e cercano di rimanere in sella con ogni mezzo, anche il più disumano e ad ogni costo.
In ogni caso il problema del confronto con questa parte del mondo permane, e forse rimarrà così per molto tempo a venire. Intanto il sostegno politico ed economico a tutti i popoli che vogliono avvicinarsi a quello che Winston Churchill il 5 marzo 1946 a Fulton negli USA definì il “mondo libero”, debba essere garantito come diritto all’autodeterminazione, la stessa che è stata presa a pretesto dalla Russia per l’invasione dell’Ucraina per la nota questione del Donbass. Putin ed i suoi consiglieri dovrebbero chiedersi il perché, anche se c’è un legame di tipo storico culturale, ci sono nazioni russofone che chiedono l’ingresso nel circolo degli occidentali piuttosto che rimanere in quello dell’ex patto di Varsavia.
In ogni caso è il momento di accettare l’idea di uno scontro tra le parti in campo come di una “competizione parallela”, in cui i principali attori, Nato, Russia e Cina, concorrono per la supremazia in diverse aree geografiche del pianeta, magari anche sostenendo avverse fazioni, come fa Putin con la Siria di Bashar Al Assad, con gli Hezbollah libanesi o con l’Iran in funzione anti occidentale, senza però entrare direttamente in contatto e senza mai pensare, come sembra fare qualcuno in questo momento, di ricorrere alle armi nucleari per prevalere, che se usate sarebbero la fine della civiltà così come la conosciamo.
D’altronde questa prassi fu utilizzata in diversi scenari bellici come ad esempio nel Vietnam diviso in due sfere di influenza: il Vietnam del Nord ai comunisti di Ho Chi Minh; il Vietnam del Sud al leader cattolico anticomunista Ngô Đình Diệm, con la Cina e l’Unione Sovietica che si schierarono con il Nord, mentre gli Stati Uniti appoggiarono il Sud. Il risultato furono quindici anni di terribile guerra nella regione, dal 1960 al 1975 ma che evitarono comunque che si arrivasse alla terza guerra mondiale trasformando un conflitto locale in uno ben più distruttivo globale.
Altro esempio è la Corea che fu divisa in una zona di occupazione sovietica (a nord del 38º parallelo) e una zona di occupazione statunitense (a sud del 38º parallelo), dando vita infine nel 1948 a due nazioni separate, con sistemi politici, economici e sociali diametralmente opposti: uno totalitario, statalista e comunista nel nord e l’altro capitalista e libero nel sud. Anche lì si confrontarono a distanza i russi e gli americani senza mettere in discussione la pace mondiale.
Torniamo quindi al romano “bellum” ordinato e abbandoniamo l’idea barbarica della “werra” come zuffa di strada in cui tutto è permesso per atterrire l’avversario, non elimineremo certo il conflitto ma lo renderemo solo più umano. Ma per fare questo, come sosteneva Karl von Clausewitz, serve la politica infatti “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”. È compito della politica dettarne le regole, stabilirne gli scopi e le modalità, continua il generale prussiano “lo scopo politico, motivo primo della guerra, darà dunque la misura tanto dell’obiettivo che l’azione bellica deve raggiungere, quanto degli sforzi che a ciò sono necessari”. Essa comunque sfugge a idealtipi precostituiti perché è collegata alla competitività naturale dei popoli dettata dalla scarsità di mezzi e di tempo, non dimentichiamolo mai! Non vivremo meglio solo più consapevoli.

Antonino Sala

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[1] Per una più accurata analisi sull’argomento Alexis de Tocqueville in “La Democrazia in America”.
[2] Sull’argomento ha scritto Lorenzo Infantino in “Potere”, Rubbettino.
[3] Ivan IV detto “il terribile” scriveva al suo generale, amico e poi oppositore Andrej Kurbskij “tutti i sovrani russi sono autocrati e nessuno ha il diritto di criticarli, il monarca può esercitare la sua volontà sugli schiavi che Dio gli ha dato. Se non obbedite al sovrano quando egli commette un’ingiustizia, non solo vi rendete colpevoli di fellonia, ma dannate la vostra anima, perché Dio stesso vi ordina di obbedire ciecamente al vostro principe.»
[4] Su questo argomento vedi Raimondo Cubeddu in “La natura della politica” Cantagalli ed. e “La cultura liberale in Italia” Rubbettino.
[5] Sull’argomento vedi Tommaso Romano in “La tradizione regale. Singolarità fra autorità e libertà”, Fondazione Thule Cultura.

Considerazioni sulla guerra per una “competizione parallela”ultima modifica: 2022-02-28T10:24:04+01:00da torreecorona
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