PACEM IN TERRIS di San Giovanni XXIII Una prospettiva di verità, giustizia, carità e libertà per la grande famiglia umana

PACEM IN TERRIS di San Giovanni XXIII
Una prospettiva di verità, giustizia, carità e libertà per la grande famiglia umana

Papa GiovanniIl peggiore dei crimini che l’uomo possa compiere è quello dell’uccisione del proprio fratello, lo spargimento del suo stesso sangue e la dissacrazione della sua stessa carne. E’ stato sempre aborrito e sanzionato come un atto vile e crudele sia per il fatto in sé, sia perché coglie di sorpresa chi lo subisce, il quale non ha nemmeno il tempo di capire cosa stia accadendo che già tutto è compiuto. Mi direte che non tutti gli omicidi hanno queste caratteristiche, ed io vi rispondo che invece sono tutti uguali: non ve né sono di diversi perché tutti apparteniamo alla grande ed unica famiglia umana.
Proprio il fatto che ognuno di noi è componente di essa ci rende potenziali caini fratricidi, sia come singoli che ancor di più come agglomerati più ampi, come gli Stati, che restano solo apparentemente indipendenti gli uni dagli altri.
Sin dal suo inizio l’umanità è interconnessa ed interdipendente, avviluppata in un intreccio di relazioni inestricabile, in cui le grandi nazioni e le piccole realtà stanno in stretto legame, lo vediamo anche oggi con la crisi militare tra la Federazione Russa e l’Ucraina in cui persino questi due contendenti sono legati da un rapporto di scambio reciproco di gas e rubli, che servono a tutti e due per alimentare la guerra e per continuare a “scannarsi” tranquillamente. L’Europa poi è ammanigliata in maniera biunivoca con la Russia perché in larga parte dipendente dalle sue fonti energetiche, e con l’oriente (la Cina) per le forniture di tutti i semiconduttori necessari per la produzione di tecnologia e armi sofisticate. Sono processi di internazionalizzazione inevitabili da quando l’uomo è comparso sulla terra.
Il mondo è globalizzato da tempo immemore, basta andare a vedere quali siano stati i rapporti tra l’impero romano e quello partico sasanide, o tra quello cristiano germanico e il suo omologo turco: distese di territori smisurati abitati da popoli diversi. Una storia fatta di scontri ed incontri, di relazioni commerciali, di viaggi come quello di Marco Polo alla corte del del Gran Khan Kubilai dal 1271 al 1295 nel Catai (l’odierna Cina), che segnano le epoche storiche in termini sia economici che culturali. Tutto questo però non sarebbe stato mai possibile se non ci fosse stata la surrettizia, forse mai dichiarata, consapevolezza dell’appartenenza alla grande famiglia umana, che ha permesso agli esseri umani di viaggiare presso altri popoli con la inconscia certezza di trovare accoglienza e ascolto presso la casa di un fratello.
In genere ad interrompere questo processo di reciproca conoscenza è sempre intervenuta la guerra con la relativa militarizzazione della società in conflitto; essa, come ho già detto, è il peggiore dei crimini che l’essere umano possa commettere: un assurdo e crudele “fratricidio”. Certo c’è sempre chi, o per cultura o per natura, è più bestia e assassino dell’altro, ma ciò non diminuisce il fatto tragico in sé.
Detto questo oggi più che mai abbiamo bisogno di rileggere e meditare la Pacem in Terris, l’ultima enciclica pubblicata da papa Giovanni XXIII l’11 aprile 1963, quando già la vita lo stava abbandonando, un documento di grande forza morale sempre attuale.
Sento già i soloni dello pseudo tradizionalismo nostrani, ancorati ai preconcetti tipici di chi per giustificare obsolete apparenze dorate e ossequi forbiti, criticare e giudicare male, come fu in quegli anni, l’apertura del papa alla fratellanza umana che non ha limiti né religiosi né culturali proposta in nome della pacifica convivenza. Ma pazienza, ci sono sempre quelli pronti a dividere il capello in quattro pur di avere attenzione e creare consenso e accettazione verso i propri privilegi o la parvenza di essi; perchè poi nemmeno questi sono rimasti in piedi: solo pochi e quasi risibili apparenze di un mondo tramontato, fortunatamente, secoli fa. Persino l’attuale Pontefice Francesco ha detto magistralmente tanto in materia, per liberare la Chiesa dalla piaga del clericalismo chiacchierone e impaludato che l’affligge dai tempi di Costantino il Grande.
Gli argomenti dell’enciclica sono suddivisi in sei parti:
Introduzione
I – L’ordine tra gli esseri umani
II – Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche
III – Rapporti tra le comunità politiche
IV – Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale
V – Richiami pastorali.

PacemLa Pacem in Terris fu una svolta estremamente forte in un periodo in cui il mondo era diviso dalla Guerra fredda tra occidente e oriente e Papa Giovanni XXIII levò la sua voce per richiamare tutti gli uomini al fondamentale valore della pace. Ma fu anche la necessaria apertura della Chiesa alla post-modernità e a un mondo che cambiava a grande velocità e che per le scoperte scientifiche e le applicazioni tecnologiche di esse, anche in termini di armamenti sofisticati e potentissimi provati su larga scala dagli USA in Giappone al termine della II Guerra Mondiale (mi riferisco alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki che causarono 400.000 morti in qualche attimo), rischiava di autodistruggersi.
Il suo fu un appello alla pace globale, improntato ai valori cristiani della fratellanza e della carità reciproca, scrive infatti “in una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili.”
E questo un punto fondamentale che pone l’individuo portatore di diritti propri che gli stati, e le altre organizzazioni sovranazionali devono riconoscere come connaturati alla persona, senza distinzione di sesso, religione e razza; promuovere perchè da li passa la pacificazione globale; tutelare come antidoto agli eccidi degli innocenti, soprattutto in tempi di guerre frattricide quando i contendenti diventano animali feroci.
“Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, continua Papa Giovanni XXIII, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. Diritti riguardanti i valori morali e culturali. Ogni essere umano ha il diritto al rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione. Scaturisce pure dalla natura umana il diritto di partecipare ai beni della cultura, e quindi il diritto ad un’istruzione di base e ad una formazione tecnico-professionale adeguata al grado di sviluppo della propria comunità politica. Ci si deve adoperare perché sia soddisfatta l’esigenza di accedere ai gradi superiori dell’istruzione sulla base del merito; cosicché gli esseri umani, nei limiti del possibile, nella vita sociale coprano posti e assumano responsabilità conformi alle loro attitudini naturali e alle loro capacità acquisite.”
Di fondamentale importanza il passo sull’educazione alla conoscenza perché è chiaro che solo con la cultura si può sperare che gli uomini sappiano discutere prima di iniziare a uccidersi e attraverso gli insegnamenti della storia e della filosofia possano trovare soluzioni razionali a questioni che sono indubbiamente troppo spesso molto complicate. Ritengo infatti semplicemente antiumano sostenere che solo preparando la guerra si possa trovare una via per la pace. L’uso delle armi non ha mai prodotto che tregue tra momenti di belligeranza mai una autentica pace.
Sua Santità solleva anche il nodo della libertà affermando che “gli esseri umani hanno il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato; e quindi il diritto di creare una famiglia, in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna; come pure il diritto di seguire la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa.”
La famiglia nel pensiero del Pontefice, riveste un ruolo fondamentale così essa “fondata sul matrimonio contratto liberamente, unitario e indissolubile, è e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della società. Verso di essa vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidano la stabilità e facilitano l’adempimento della sua specifica missione. I genitori posseggono un diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione.”
L’economia viene inquadrata come mezzo e non fine per risolvere il problema delle risorse e come possibilità di realizzare se stessi, così afferma “agli esseri umani è inerente il diritto di libera iniziativa in campo economico e il diritto al lavoro.”
Uno sguardo che contempla il lavoratore come portatore di legittime attese per la dignità dell’uomo ed infatti “a siffatti diritti è indissolubilmente congiunto il diritto a condizioni di lavoro non lesive della sanità fisica e del buon costume, e non intralcianti lo sviluppo integrale degli esseri umani in formazione; e, per quanto concerne le donne, il diritto a condizioni di lavoro conciliabili con le loro esigenze e con i loro doveri di spose e di madri. Dalla dignità della persona scaturisce pure il diritto di svolgere le attività economiche in attitudine di responsabilità.”
Nodo centrale diviene la collocazione degli individui come “cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale….Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno.Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse.” Per realizzare un ordinamento fondato su verità e giustizia “l’ordine tra gli esseri umani nella convivenza è di natura morale. Infatti, è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani….Non più popoli dominatori e popoli dominati” bandendo ogni forma di razzismo “per cui le discriminazioni razziali non trovano più alcuna giustificazione, almeno sul piano della ragione e della dottrina; ciò rappresenta una pietra miliare sulla via che conduce all’instaurazione di una convivenza umana informata ai principi sopra esposti. Quando, infatti, negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli. E quando i rapporti della convivenza si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sul mondo dei valori spirituali, e comprendono che cosa sia la verità, la giustizia, l’amore, la libertà; e diventano consapevoli di appartenere a quel mondo. Ma sono pure sulla via che li porta a conoscere meglio il vero Dio, trascendente e personale; e ad assumere il rapporto fra se stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita: di quella che vivono nell’intimità di se stessi e di quella che vivono in relazione con gli altri.”
“I diritti naturali testé ricordati, prosegue l’enciclica, sono indissolubilmente congiunti, nella stessa persona che ne è il soggetto, con altrettanti rispettivi doveri; e hanno entrambi nella legge naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile….Il diritto, ad esempio, di ogni essere umano all’esistenza è connesso con il suo dovere di conservarsi in vita; il diritto ad un dignitoso tenore di vita con il dovere di vivere dignitosamente; e il diritto alla libertà nella ricerca del vero è congiunto con il dovere di cercare la verità, in vista di una conoscenza della medesima sempre più vasta e profonda.”
Il Pontefice indica anche un percorso possibile per una coesistenza altruista, civile e pacifica, infatti per lui “la convivenza fra gli esseri umani è quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità…..Ed è inoltre una convivenza che si attua secondo giustizia o nell’effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; che è vivificata e integrata dall’amore, atteggiamento d’animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare….è diffusa assai largamente la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale.”
Un riferimento al ruolo del governo e all’esercizio del suo potere sulla persona che si inserisce nel solco della migliore tradizione liberale e cristiana della limitazione dell’agire pubblico e così aggiunge che “l’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione.” E da lì il passo è breve e “riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche.” “Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale.
Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale….Non ci sono esseri umani superiori per natura ed esseri umani inferiori per natura; ma tutti gli esseri umani sono uguali per dignità naturale. Di conseguenza non ci sono neppure comunità politiche superiori per natura e comunità politiche inferiori per natura: tutte le comunità politiche sono uguali per dignità naturale, essendo esse dei corpi le cui membra sono gli stessi esseri umani. Né va quindi dimenticato che i popoli, a ragione, sono sensibilissimi in materia di dignità e di onore..i rapporti fra le comunità politiche vanno inoltre regolati secondo giustizia: il che comporta, oltre che il riconoscimento dei vicendevoli diritti, l’adempimento dei rispettivi doveri.” Una visione del mondo in cui “le comunità politiche hanno il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: ad essere le prime artefici nell’attuazione del medesimo; ed hanno pure il diritto alla buona riputazione e ai debiti onori: di conseguenza e simultaneamente le stesse comunità politiche hanno pure il dovere di rispettare ognuno di quei diritti; e di evitare quindi le azioni che ne costituiscono una violazione. Come nei rapporti tra i singoli esseri umani, agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri, così nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre. Cade qui opportuno il detto di sant’Agostino: “Abbandonata la giustizia, a che si riducono i regni, se non a grandi latrocini?”.
“Certo, anche tra le comunità politiche possono sorgere e di fatto sorgono contrasti di interessi; però i contrasti vanno superati e le rispettive controversie risolte, non con il ricorso alla forza, con la frode o con l’inganno, ma, come si addice agli esseri umani, con la reciproca comprensione, attraverso valutazioni serenamente obiettive e l’equa composizione….I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nella presente epoca storica. In argomento occorre sempre considerare che la ragione d’essere dei poteri pubblici non è quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana.”
Giovanni XXIII riconosce il diritto ai singoli di potere svolgere funzioni di governo della cosa pubblica come un diritto dovere non derivante da rendite di posizioni infatti afferma “fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di potersi creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di favorire l’integrazione in se stessa delle nuove membra.”
Ci richiama agli investimenti proficui indirizzati al miglioramento della vita più che a quelli che sono in grado di distruggerla come le armi su cui scrive “ci è pure doloroso constatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale…Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità…È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante.”
Aspirazione primaria: trovare una via per la pace come “obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra” attraverso il reciproco riconoscimento della indipendenza degli altri soggetti così “i rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha il diritto di esercitare un’azione oppressiva sulle altre o di indebita ingerenza. Tutte invece devono proporsi di contribuire perché in ognuna sia sviluppato il senso di responsabilità, lo spirito di iniziativa, e l’impegno ad essere la prima protagonista nel realizzare la propria ascesa in tutti i campi…Già il nostro predecessore Pio XII proclamava che “nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali non vi è posto per la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa. Se è inevitabile che i grandi Stati, per le loro maggiori possibilità e la loro potenza, traccino il cammino per la costituzione di gruppi economici fra essi e le nazioni più piccole e deboli, è nondimeno incontestabile — come di tutti, nell’ambito dell’interesse generale — il diritto di queste al rispetto della loro libertà nel campo politico, alla efficace custodia di quella neutralità nelle contese tra gli Stati, che loro spetta secondo il gius naturale e delle genti, alla tutela del loro sviluppo economico, giacché soltanto in tal guisa potranno conseguire adeguatamente il bene comune, il benessere materiale e spirituale del proprio popolo”. Pertanto le comunità politiche economicamente sviluppate, nel prestare la loro multiforme opera, sono tenute al riconoscimento e al rispetto dei valori morali e delle peculiarità etniche proprie delle comunità in fase di sviluppo economico; come pure ad agire senza propositi di predominio politico; in tal modo portano “un contributo prezioso alla formazione di una comunità mondiale nella quale tutti i membri siano soggetti consapevoli dei propri doveri e dei propri diritti, operanti in rapporto di uguaglianza all’attuazione del bene comune universale”. ”
Mezzo per la pace diviene il confronto perché “è lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni.”
Non manca una profonda analisi delle interconnessioni tra le nazioni e le loro economie dovuto al progresso tecnologico “i recenti progressi delle scienze e delle tecniche incidono profondamente sugli esseri umani, sollecitandoli a collaborare tra loro e orientandoli verso una convivenza unitaria a raggio mondiale. Si è infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose. Per cui sono aumentati enormemente e si sono infittiti i rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi appartenenti a diverse comunità politiche; come pure fra i poteri pubblici delle medesime. Mentre si approfondisce l’interdipendenza tra le economie nazionali: le une si inseriscono progressivamente sulle altre fino a diventare ciascuna quasi parte integrante di un’unica economia mondiale; e il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, e la pace all’interno di ciascuna comunità politica è in rapporto vitale con il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, la pace di tutte le altre comunità politiche.” E una condanna di ogni forma di protezionismo autarchico infatti aggiunge “nessuna comunità politica oggi è in grado di perseguire i suoi interessi e di svilupparsi chiudendosi in se stessa; giacché il grado della sua prosperità e del suo sviluppo sono pure il riflesso ed una componente del grado di prosperità e dello sviluppo di tutte le altre comunità politiche” perché “l’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune della intera famiglia umana.”

VATICAN - AVRIL 09: Le pape Jean XXIII signant l'encyclique 'Pacem in Terris'  le 9 avril, 1963 au Vatican. (Photo by Keystone-France/Gamma-Rapho via Getty Images)

VATICANO: Il Papa Giovanni XXIII mentre firma l’enciclica ‘Pacem in Terris’. (Photo by Keystone-France/Gamma-Rapho via Getty Images)

Una prospettiva sempre attuale per la grande famiglia umana che crede nella convivenza tra i popoli con speranza e con una buona dose di fede perché, secondo Angelo Giuseppe Roncalli, S. Ioannes PP. XXIII canonizzato il 27 aprile 2014 insieme ad un altro grande attore di pace San Giovanni Paolo II ad opera dell’attuale Papa Francesco che non poco sta facendo per i conflitti nel mondo ed in particolare per quello in Ucraina, “la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.”
Antonino Sala

*Foto riprese dalla copertina di Pacem in Terris, Giovanni XXIII, edito da Associazione Amici del Papa, 2017, Ebook e dai siti vatican.va e wikipedia.

PACEM IN TERRIS di San Giovanni XXIII Una prospettiva di verità, giustizia, carità e libertà per la grande famiglia umanaultima modifica: 2022-05-26T07:48:16+02:00da torreecorona
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